martedì 8 gennaio 2008

Insomnia

Christopher Nolan

“Glamis ha assassinato il sonno; Cawdor non dormirà più”. Così Macbeth, signore di Glamis e di Cawdor e re usurpatore di Scozia, dà voce al rimorso segreto che si esprime nella mancanza del sonno. Lo stesso si potrebbe dire del detective Will Dormer, cui dà un viso scavato e sconvolto Al Pacino, nel bellissimo thriller di Christopher Nolan “Insomnia”.
Per la cronaca, questo film prodotto da George Clooney e Steven Soderbergh, sceneggiato da Hillary Seitz e diretto dall’inglese Nolan - già autore di uno dei più importanti thriller degli ultimi anni, “Memento” - è il rifacimento americano di un omonimo film europeo, di Eric Skjoldjaerg, che mi spiace di non conoscere.
“Non dormirà più”. Il punto di partenza è il temporaneo trasferimento di Al Pacino, con un collega su cui indaga l’organo di autocontrollo della polizia, dalla California in Alaska, per investigare sull’omicidio di una ragazza. In Alaska la luce del giorno che non tramonta mai, nemmeno a mezzanotte, scatena nell’uomo una tormentosa insonnia; in una semplicissima scena di grande cinema lo vediamo accumulare freneticamente oggetti contro la finestra per annullare quella luce implacabile; ma non si tratta della luce, naturalmente. Perché il detective in una scena ambigua ha ucciso “incidentalmente” il suo collega sparandogli nella nebbia durante la caccia all’assassino (avvertimento: questa che rivelo non è una sorpresa del film perché le carte vengono tutte messe in tavola nella prima mezzora; la sorpresa è - entro un certo limite - non “cosa”, ma “come” si svilupperà la situazione; nondimeno, chi desideri non sapere assolutamente nulla dello svolgimento farà bene ad astenersi dalla lettura).
La luce della notte-giorno che tortura fisicamente Al Pacino, l’insonnia che gli impedisce di pensare e lo tormenta con allucinazioni: il nudo dato diegetico si congiunge con fluida naturalezza col suo riflesso metaforico. Abbiamo in primo luogo il pretesto narrativo che determina e giustifica lo stato di tensione isterica in cui il protagonista si aggira lungo il film. In secondo luogo esso provoca una confusione fra lo stato di veglia e quello superficiale del sonno, donde la presenza di immagini a metà fra i due mondi - e qui ritroviamo un tema evidentemente caro a Christopher Nolan, la perturbazione della lucidità. Di conseguenza Nolan esplora nel film tutti i possibili statuti narrativi di quel flashback-lampo, quasi subliminale, ch’è divenuto quasi una costante nel poliziesco d’oggi (lo vediamo molto usato anche in una bella serie televisiva quale “C.S.I.). E sono: flashback narrativo oggettivo (che con la sua fugacità consente anche di attenuare l’eventuale insostenibilità della visione); richiamo di memoria nella soggettività del personaggio; visualizzazione teorica di un’ipotesi; pura allucinazione. Non ordinatamente gerarchizzati, si capisce, nel film, ma compresenti, incrociati, confusi, in una descrizione quietamente impressionante della realtà interiore che preme per deragliare: e questo è affine al tema di “Memento” (il cui protagonista per effetto di un incidente dimenticava qualsiasi cosa gli accadesse nel giro di pochi minuti).
“Insomnia” rappresenta però una sorta di rovesciamento rispetto a “Memento”: mentre in quel film l’elemento della vertigine conoscitiva era centrale, e la trama “thrilling” fondamentalmente gli si organizzava intorno, qui il malessere fisico-mentale del protagonista viene inglobato come elemento interno di un “plot” forte, centrale, ben servito sul piano interpretativo dall’affascinante gioco a tre fra Al Pacino, Hilary Swank e un Robin Williams finalmente inedito e non mieloso, come ai vecchi tempi. Ecco entrare qui il terzo livello di significato dell’insonnia nella trama, quello metaforico cui accennavo, semplicissimo ma convincente. Nella terra della luce incessante la coscienza malata non lascia dormire.

(Il Nuovo FVG)

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