sabato 18 ottobre 2025

La memoria del buio

Lorenzo Bianchini

La memoria del buio di Lorenzo Bianchini è già presente in streaming a pagamento, in Italia e in molti paesi del mondo; ma è stata, a Udine, una bella opportunità quella di vederlo su grande schermo – una dimensione che esalta la sua natura di onirico e angoscioso viaggio nel buio. Lorenzo Bianchini ha realizzato anche film di contenuto impegno produttivo, come lo splendido non-horror L’angelo dei muri; ma ogni tanto si concede qualche film realizzato “a zero budget” come questo, girato con una troupe di sole sei persone e quasi in un unico ambiente, richiamando le sue origini di cineasta super-indipendente.
Il film infatti si svolge quasi interamente in una fabbrica di amido dismessa, pura archeologia industriale, che il protagonista Paolo Rinaldi (Paolo Fagiolo), fotografo spiantato e mollato dalla moglie per la sua ludopatia, ha appunto un contratto per fotografare.
Ricordiamo che gli ambienti polverosi e abbandonati sono molto presenti nei film di Lorenzo Bianchini, e per esempio se ne può menzionare il perfetto impiego in uno dei suoi film horror più belli, Oltre il guado: è un cinema, il suo, che ama mettere in risalto le caratteristiche evocative del passato possedute tanto da luoghi quanto da singoli oggetti, con la loro silenziosa malinconia. In questo senso un riferimento che balza alla memoria è Pupi Avati.
Accade che, ingrandendo sul computer le foto che ha preso nella fabbrica, Paolo si accorge che a terra vi sono dei biglietti da 50 euro. Precipitarsi di notte nell’edificio per raccogliere il gruzzolo è un tutt’uno. Ma oltre ai soldi Paolo trova più di quanto si aspetti: droga in sacchetti rotti e corpi di morti ammazzati. Inoltre c’è un criminale (Marco Marchese) 
ferito alla gamba, sopravvissuto al regolamento di conti, che lo minaccia con la pistola per farsi aiutare.
Portato a casa di Paolo per fasciarsi, il bandito – azzoppato com’è – deve patteggiare con l’altro un aiuto nella ricerca di una borsa piena di denaro che è rimasta in loco. Così eccoli di ritorno, con torce elettriche, nel tetro ambiente: dove è tutto un frugare, nascondersi, ritrovarsi, sospettarsi, minacciarsi (ma anche trovare momenti di bizzarra confidenza), con una tensione sfibrante, in una ricerca sempre più complicata e frustrante che li porta da una stanza all’altra, ambienti assolutamente sinistri nel loro abbandono. E la storia si tinge di horror quando i morti cominciano ad apparire dove non dovrebbero essere.
La ricerca sempre più nervosa di Paolo e del bandito zoppicante diventa così un viaggio nell’incubo. Bellissimo nel film l’uso del buio, sovrano, quasi solido; l’uso nervoso delle torce elettriche, unica fonte di illuminazione, ridefinisce l’esistente e crea un gioco di strane ombre. La memoria del buio potrebbe sembrare un Kammerspielma è tutt’altro. Perché questo spazio chiuso sembra aprirsi e moltiplicarsi (“geometrie che si scompaginano”, diceva il regista in un intervento), come un caleidoscopio spaziale. Il concetto geometrico di tessaract è quello che si può più avvicinare a questa concezione. L’unità di luogo si amplia e si stravolge; quella volatilità delle coordinate spaziali che è propria del mondo onirico trasforma la fabbrica in
un labirinto.
E se questo accade allo spazio, non è troppo strano che anche al tempo succeda la stessa cosa... 

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