domenica 7 maggio 2023

FEFF 2023: Watanabe a colori


Watanabe Hirobumi si è letteralmente innamorato di Udine e dell’Italia – ma anche la Udine del FEFF 2020 si era innamorata di lui, con la bellissima personale che il FEFF gli ha dedicato, purtroppo online. Adesso però i Watanabe Bros., Hirobumi e Yoji, sono potuti venire, e al FEFF hanno fatto collezione di applausi. Naturalmente l’occasione è stata la presentazione degli ultimi film di Watanabe, uno come interprete e due come regista (e interprete, con Yuji). Ecco qualche riga sui tre film, dove salta subito all’occhio una grande novità nel cinema watanabiano: l’irruzione del colore.

Xavier De Maistre, confinato per punizione per un duello, scrisse il Viaggio intorno alla mia camera. Way of Life è un video-diario dei tempi del Covid, in cui Watanabe ci mostra se stesso confinato in camera durante il lockdown. Sono addirittura ossessive queste immagini ricorrenti in b/n che riprendono la camera sempre dallo stesso punto di vista – con una fotografia che non ha l’eleganza di Bang Woohyun, il suo storico direttore della fotografia, anzi non si preoccupa neppure del controluce. E’ vero che i giapponesi hanno un’altra concezione dello spazio rispetto a noi occidentali, ma ci sentiamo terribilmente costretti in questa stanza con inquadratura unica.
Per passare il tempo Watanabe fa lunghe telefonate con Bang in Corea (dice che muore se non gira, ma non si può girare; cerca di arruolarlo per futuri lavori ma Bang esita perché ha bisogno di guadagnare nel lavoro; prendono in giro i governi giapponese e coreano). Racconta che avrebbe dovuto venire a Udine per la personale del 2020, poi fatta online; e gli dispiace, perché gli hanno detto che è un bel posto.
Soprattutto, impossibilitato a dirigere, Watanabe disegnando tutto il giorno. E i suoi disegni, che appende in camera come poster, sono bellissimi! E’ tanto un inventare quanto un rifare motivi (riconosci Van Gogh, il Doganiere Rousseau, Picasso, i disegni infantili, i fumetti americani, e naturalmente Basquiat) con una verve e una bellezza che hanno del prodigioso. Su questi disegni esplode, come una liberazione, il colore. In pratica, con Way of Life l’autore organizza la propria personale pittorica.
Se Dio vuole, tutto finisce, e si torna a uscire. C’è una visita in cimitero, con Watanabe e i suoi genitori, alla tomba della bisnonna. La parte finale ci mostra Watanabe che gira con Yuji e gli altri interpreti Techno Brothers.

Come si può non amare un film che spudoratamente si apre sulle note di Also Sprach Zarathustra? e con lo stesso senso di gloriosa ascesa? Con l’adorabile Techno Brothers Watanabe Hirobumi sviluppa quell'elemento narrativo che emergeva in particolare in I’m Really Good. Vale a dire che, pur continuando sulla linea del suo cinema, si apre a nuovi tentativi e nuove esperienze – fra le quali c’è il colore. A questo proposito è da segnalare, nella fotografia di Watanabe Yuichiro, l’amore per il rosso, che spicca a macchie, tanto da far pensare a Ozu.
Il primo riferimento del film è ovviamente ai Blues Brothers, di cui i Techno Brothers sono il rovesciamento parodistico: quelli in completo nero, questi con camicia rossa e cravatta scura, ma allo stesso modo impassibili e con occhiali neri (è un omaggio al gruppo tedesco  Kraftwerk); e naturalmente la score di Watanabe Yuji mette al posto del blues la musica techno. Sono, i Techno Brothers, Watanabe Hirobumi e Watanabe Yuji – poi c’è un terzo, Kurosaki Takanori, ma muore di fame durante il film. Il secondo grande riferimento è a uno dei registi del sancta sanctorum di Watanabe, Aki Kaurismäki. Incrociando la classica impassibilità tanto watanabiana quanto kaurismäkiana, Techno Brothers è l’ironica cronaca del “viaggio della speranza” verso Tokyo di un trio (poi duo) di sfigati suonatori di strada, muti, maltrattati, impassibili, sotto la ferula di una durissima manager, una simil-Anna Wintour, che li reclamizza come musicisti al livello di Bach e dei Beatles, ma li tratta come Matti Pellonpää trattava i Leningrad Cowboys in Leningrad Cowboys Go America. Superba la gag ricorrente di loro al ristorante, con lei che ordina da mangiare a quattro palmenti per sé, e per gli altri solo un bicchier d’acqua. Compare anche Riko, presenza fissa del regista, nel ruolo di un misterioso mogul della musica, Boss Riko, che li disprezza; e Watanabe Hirobumi si diletta di interpretare vari personaggi differenti.
Il plot, senza sorpresa, è anti-narrativo: si basa largamente sulla frustrazione delle attese (come nel caso dell’amuleto su carta, che in un film tradizionale rappresenterebbe un punto di svolta, e qui si risolve in gag). Anche l’unico vero sviluppo (la fuga dei due) viene presto recuperato. C’è molto di sospeso e di non detto, e infatti il film si chiude con la promessa di un sequel. Inutile aggiungere che il finale è un omaggio a Otawara! 

Your Lovely Smile di Lim Kah Wai presenta il “nostro” Watanabe Hirobumi nella parte di se stesso – o meglio, di un suo alter ego sottilmente ironico, regista indipendente e produttore con la Foolish Piggies, alla ricerca del successo: “La parte più difficile è il finanziamento”, dice speranzoso a un possibile contributore, che non risponde. Il fratello Yuji, all’inizio del film, a casa loro a Otawara, gli dice, in sintesi, “Solo io porto soldi a casa, con le lezioni di piano” (e la bambina con la mascherina che vediamo suonare il piano è la piccola Riko). Sono allo stesso tempo buffe e commoventi le vanterie di “Watanabe” su Amazon e Netflix, o l’episodio in cui va a lavorare in una serra (la stessa che vediamo in Techno Brothers), arrivano i suoi genitori, e lui fa finta di essere lì per documentazione.
Un'opportunità di realizzare un film, poi comicamente fallita, lo porta in giro per il Giappone da sud a nord, cercando di far proiettare i suoi film in tutta una serie di cinema d’essai. Gli incontri con i gestori sono tipicamente watanabiani – ma qui, ecco che Your Lovely Smile cambia registro e diventa una sorta di di “fiction documentaristica”, perché quei cinema e quei gestori sono autentici, e questi incontri (culminanti in interviste durante i titoli di coda) compongono un quadro desolato dello stato disastroso dei cinema d’essai in Giappone, fra il declino delle sale e la mazzata della pandemia. Un’alta dichiarazione d’amore, sul piano artistico e su quello emotivo, per il cinema indipendente e i cinema d’essai – dove, se posso permettermi un accenno personale, noi del gruppo del Visionario ci riconosciamo come in uno specchio.


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