domenica 25 marzo 2018

Visages Villages

Agnès Varda


Ci sono (ma rari) dei film così belli che salgono le lacrime agli occhi durante la visione, non per un materiale commovente ma per il puro impatto della bellezza. Eccone uno: Visages Villages di Agnès Varda – che fornisce esattamente ciò che dice il titolo: è un viaggio fra i volti e i villaggi: due concetti che si fondono, giacché Varda stessa (90 anni) e JR, famoso come autore di collages fotografici inseriti nello spazio urbano, girano per la Francia cercando visi/storie, stampano fotografie giganti degli abitanti dei luoghi e le incollano sui muri.
Come accade sempre nell'opera documentaristica di Agnès Varda, questo film è un documentario anche su di lei, compreso qui il rapporto di amicizia che si è creato col giovane JR, amico misterioso con quegli eterni occhiali neri che lei detesta. Un'inquadratura ricorrente li mostra, spesso seduti di spalle, che discutono del loro progetto e del mondo.
Agnès Varda, che com'è noto è nata artisticamente come fotografa, possiede il dono, in misura quasi sovrumana, della profondità di sguardo sul mondo. Anche nei suoi film di fiction le location, i segni come i cartelli stradali, tutto il profilmico vive e balza all'occhio alla stessa stregua dei personaggi. Nel suo documentarismo (ma in Varda la differenza tra fiction e documentario è sfumata) si esprime una pregnanza stupefacente della cosa vista. In Visages Villages la presenza fisica degli autori si intreccia all'evidenza (Agnès Varda è un'evocatrice) dei personaggi ritratti e all'evidenza dei luoghi, anzi, di più, della natura: “Il mare ha sempre ragione, e il vento, e la sabbia”, commenta Varda quando l'alta marea lava via una delle loro gigantografie incollate. L'unica a sparire nel film; le altre vengono onorate e ammirate dagli abitanti... ma la Terra si muove su un'altra lunghezza d'onda.
Ciascuna delle figure del film, i soggetti delle foto, rappresenta una storia che varrebbe un piccolo documentario per sé, ma che emerge con più forza nella concentrazione. Pochi minuti di immagini rivelano un mondo e una biografia, e il climax è la reazione di fronte alla propria gigantografia incollata sulla “pubblica via”. Jeanine, l'ultima abitante di una casa di minatori, si commuove fino alle lacrime (“Que peux-je dire?”). L'Agricoltore fiero dei suoi enormi macchinari si mette in posa davanti alla propria enorme immagine assumendo la stessa posa. E' una mise en abyme, e non a caso questo concetto è menzionato altrove nel film, a scopo esplicitamente e quasi sfacciatamente didattico. Ne comparirà anche un'altra, di tipo diverso, quando le mogli vive e attive di tre lavoratori del porto di Le Havre compaiono in alto, piccolissime, sedute sul bordo di un container che fa parte di un vero “grattacielo” di containers sul quale campeggia la loro triplice enorme immagine – un totem, dice Varda, autrice femminista senza manifesti.
O come dimenticare Pony, l'anziano pensionato hippy con treccine rasta, che crea objects d'art con materiali di di scarto come tappi di bibite: e potrebbe essere uscito da Les glaneurs et la glaneuse, altro bellissimo documentario del 2000 sui raccoglitori, che anche di questo tipo di opere parlava. Ove la glaneuse, la spigolatrice, del titolo era la stessa Varda, perché di tal fatta è il suo cinema, fatto di immediato, curioso delle opportunità. “Il caso è sempre stato il migliore dei miei assistenti”, dice lei nel presente film.
Visages Villages è un film insieme capriccioso e molto logico. Il principio dell'analogia guida a sorprendenti collegamenti. Mentre i due stanno fotografando dei pesci morti al mercato (per decorare col loro ingrandimento il serbatoio di una fabbrica) Varda nota l'occhio sbarrato di uno di questi – e il montaggio ci porta all'occhio in dettaglio di Varda stessa durante una piccola operazione medica (scena corredata con umorismo un po' perverso dalla citazione appropriata, l'occhio tagliato, di Buñuel).
Più tardi nel film sono ancora porzioni del corpo segnato dagli anni di lei, gli occhi, i piedi, ad essere fotografati (le foto ingrandite viaggeranno su vagoni di un treno). Questo ci ricorda come torni nel cinema di Varda il dettaglio netto e lucido del corpo invecchiato, il suo (anche ne Les glaneurs et la glaneuse) ma anche quello del marito Jacques Demy nell'indimenticabile Garage Demy (Jacquot de Nantes). In Visages Villages una visita al piccolo cimitero dove riposa Henri Cartier-Bresson (“Che colpo d'occhio aveva”) introduce una discussione sulla morte: inevitabile portato di un film dove ritorna il discorso della vecchiaia – ma ricordiamo che la mortalità e il tempo sono temi fissi dei film di Varda.
In una delle interviste, al lavoratore di un allevamento di capre, vediamo la piccola équipe del documentario che lo sta filmando. Ah, ma questo è il vecchio gioco del cinema (chi filma?), che se mette in scena se stesso deve farlo come finzione e riproduzione: perché la mdp non può filmare se stessa, dev'essere filmata da un'altra mdp, in una vertigine potenzialmente infinita. Però subito dopo la ricostruzione del filmare segue l'evidenza della realtà filmata, con un piccolo litigio tra Varda e JR a proposito degli occhiali neri di quest'ultimo, che non si vuole mai togliere, mentre Varda lo vorrebbe vedere. Tutto ciò esploderà nel finale a proposito di Jean-Luc Godard, già evocato con foto, filmati, discorsi, perfino un rifacimento-omaggio di Bande à part, lungo tutto il film (davvero il segreto dei film di Agnès Varda è la connessione). I due vanno a trovarlo nella sua casa in Svizzera e lui, tipicamente, non si lascia trovare, lasciando un messaggio scritto sul vetro che allude a ricordi molto personali (Jacques Demy, naturalmente) della sua vecchia amica Varda; e lei, nel momento più emozionalmente carico dell'intero film, piange: “Se voleva ferirmi c'è riuscito... Non è divertente... Oggi Jean-Luc ha esagerato”. Questo non è un gioco di cinema, non è il filmare che filma se stesso, è la realtà immediata.
Per consolarla, sulla riva del lago, JR si toglie eccezionalmente gli occhiali neri – ma siccome nella vita reale fa parte della sua immagine pubblica il mistero, l'immagine che vediamo come soggettiva di Varda è fuori fuoco. Ma c'è anche una sorta di pudore qui. Quest'immagine apparterrà esclusivamente ad Agnès Varda. Non possono che seguire i titoli di coda.

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