domenica 10 dicembre 2017

Assassinio sull'Orient Express

Kenneth Branagh

Chi fa un remake si assume una responsabilità. Volente o nolente il suo film dialoga col film precedente (specie se si muovono nella stessa lega: non come i due La mosca di David Cronenberg e di Kurt Neumann). Così, riesce inevitabile – oltre che istruttivo – paragonare Assassinio sull'Orient Express (dal romanzo di Agatha Christie) di Kenneth Branagh con il film del 1974 di Sidney Lumet.
Una cosa va detta prima di tutto. Il romanzo della Christie, nella sua conclamata impossibilità, è un meta-giallo. Giustamente Sidney Lumet col suo sceneggiatore Paul Dehn lo trasformò in un film meta-cinematografico attraverso una dichiarata teatralità (vedi il trucco di Poirot) e un uso geniale del cast. Esempio massimo, e famoso, quello di Anthony Perkins (McQueen, il segretario dell'assassinato). Quando Poirot gli chiede “Perdoni la domanda freudiana: lei amava sua madre?”, si innesta un cortocircuito vertiginoso (Psycho). E' un caso limite, ma in quel film anche la spiritosissima Lauren Bacall non prescinde dalla sua figura filmica. E l'egualmente spiritosa Ingrid Bergman – che ci guadagnò un Oscar – col suo esilarante inglese dalla pesante inflessione svedese (il modo in cui pronuncia Minneapolis è fenomenale) non è esente dal riferimento a Greta Garbo, anche esplicitato in una battuta di Poirot mancante nella versione italiana.
Ora, un'operazione del genere è stata possibile solo in un'epoca (allora agli sgoccioli) in cui i divi si portavano dietro un'aura. Erano una memoria cinematografica ambulante. Il nuovo Assassinio sull'Orient Express è interpretato da buoni attori di fama. Li riconosciamo e li amiamo: Judi Dench (magnifico il suo sputo molto russo quando sente il nome di Cassetti!) la adoreremmo anche se stesse seduta senza muovere un muscolo. Ma è indubbio che gli attori d'oggi incarnano un'altra epoca dello Spirito cinematografico rispetto alle antiche star. Questo non è per dire che il nuovo Orient Express non offra godibilissime interpretazioni. Michelle Pfeiffer, la migliore in campo, è spiritosa senza rifare la Bacall. Willem Dafoe presenta un perfetto cambiamento del personaggio “in corsa”. Johnny Depp mostra un gioco degli occhi ammirevole, perfettamente corrispondente alla descrizione di Agatha Christie.
Kenneth Branagh è bravo nella sua interpretazione, alquanto spiazzante, di un Poirot diverso dalla tradizione. Un Poirot più giovane, provvisto dei francesismi canonici ma dai baffi poco ortodossi (strano che a volte dorma col piegabaffi, a volte no!), e con una storia d'amore alle spalle. Mantiene l'atteggiamento fussy a proposito dell'ordine e della simmetria – anche se l'episodio della merda pestata due volte è un'esagerazione umoristica poco in linea con il personaggio – ma sotto la sua sicurezza si agitano dei dubbi; tanto che a un certo punto la sceneggiatura di Michael Green è costretta a rubare una frase dalla sua autocritica in articulo mortis nel suo ultimo romanzo, Sipario. In compenso, comunque, una sua battuta, “Se fosse così facile non sarei famoso”, è perfetta, assolutamente poirottiana.
Molto buono, nel film, è l'uso dei flashback in b/n, e ottima l'idea del filmino di famiglia con la piccola Daisy che vi compare. Passabilmente suggestiva l'inquadratura “a piombo” in tutta la scena della scoperta dell'omicidio. Bene il pugnalamento in soggettiva della vittima. Il problema per il quale questo nuovo Orient Express lascia piuttosto perplessi è un altro. Da un lato il film di Branagh vuole riprendere Agatha Christie e la struttura molto dialogata del giallo inglese anni '30; dall'altro è spaventato all'idea che il plot non incontri il gusto rozzo delle platee specialmente giovanili d'oggi, e così cerca di “movimentarlo” il più possibile. In primo luogo, tenta di “aprire” sia sul piano fisico sia su quello narrativo. Nel presente film non è un accumulo di neve a bloccare il treno ma addirittura una valanga e un deragliamento. I lavoranti venuti dalla stazione più vicina arrivano subito; e si potrebbe obiettare che ciò toglie quel senso di isolamento presente nella storia. Di più, cerca di rendere la storia più “avventurosa” rispetto all'originale (Christie e Lumet) – ma questo lo porta anche ad autentiche sciocchezze (attenzione: seguono spoiler).
Pazienza per la scena dell'inseguimento sul ponte: un Poirot più giovane può anche essere più atletico. Ma è ridicola la figura del conte-ballerino picchiatore (la peggiore del film). E' una grossolanità la pistola puntata verso Penelope Cruz quando sbaglia scompartimento. E' una balordaggine, nel contesto, la trovata del coltello piantato nella schiena di Michelle Pfeiffer anziché abbandonato per farlo trovare. E soprattutto è assolutamente stupido lo sparo che ferisce Poirot nel pre-finale. Il tentativo di patina avventurosa, troppo goffo e scoperto, ricade su se stesso.
Così il film – che si chiude con l'annuncio, celato nel dialogo, di un prossimo Assassinio sul Nilo – pur essendo normalmente piacevole da vedere lascia un piccolo retrogusto di delusione. Parafrasando Benedetto Croce, noi amanti del giallo classico “non possiamo non dirci christiani”. Non penso che Agatha Christie si rivolterà nella tomba o verrà a tirare i piedi a Branagh di notte. Lei poi era molto pragmatica. Tuttavia, se fossi nei panni di Kenneth Branagh, mi terrei lontano dalle sedute spiritiche per un po'.

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