domenica 15 gennaio 2017

E se elas fossem para Moscou?

regia di Christiane Jatahy

Indimenticabile serata teatrale al Palamostre di Udine, dove il CSS per Teatro Contatto ha presentato E se elas fossem para Moscou? di Christiane Jatahy. Le tre eccezionali interpreti sono Isabel Teixeira (Olga), Stella Rabello (Maria) e Julia Bernat (Irina).
Recitato in portoghese brasiliano con intromissioni di inglese e francese, è una riscrittura moderna de Le tre sorelle di Čechov divisa in due sezioni, che si vedono una dopo l'altra in modo interscambiabile in due spazi diversi e separati: una è “teatrale”, ma ripresa nel contempo da videocamere presenti e mobili sul palco, una è “cinematografica”, che presenta in diretta il film realizzato. Il pubblico è diviso in due gruppi che dopo l'intervallo si scambiano di posto. Chi ha visto la messa in scena teatrale assiste poi al film – è stato il mio caso – e viceversa.
Di conseguenza nella sezione “teatrale” il testo viene messo in scena sul palcoscenico, con numerosi interstizi dell'azione riempiti da rapporto “laterale” fra i personaggi, moltiplicazione dei punti focali, coinvolgimento del pubblico: una materia magmatica – entro la quale rimangono fissi, e potenti, lo spirito e in parte la lettera cechoviani.
Ed ecco il film, e con esso quell'elemento che ho chiamato magmatico viene ridotto a unità: perché filmare significa inquadrare, e inquadrare significa scegliere. Allora la pluralità visiva che abbiamo visto sul palcoscenico viene inevitabilmente indirizzata e definita da una presenza di regia. Reductio ad unum. Il dramma che emerge da quest'unità era inscritto nella parte di spettacolo precedente, riconoscibilissimo anche allora (sarebbe un errore capitale leggere le due parti di spettacolo in termini di incompletezza/completezza: sono complete entrambe), ma qui reso assoluto dall'elemento cinematografico della scelta, della definizione dello sguardo. Si capisce che gli spettatori che hanno fatto il percorso inverso vivono la stessa esperienza, ma al contrario.
Però tutto questo sarebbe solo tecnica, fuoco d'artificio, se non ci fosse sotto una profondità artistica, di cui l'eccellenza tecnica non è che lo strumento. Dietro a questa genialità di uso dei mezzi espressivi c'è Čechov e c'è l'oggi: c'è Čechov oggi. Per questo il suo teatro di suggestioni e di nuances, di sogni e di amare realtà, intessuto di malinconia e insieme di umorismo (il dottor Čechov com'è noto si lamentava spiritosamente della messa in scena “tetra” adottata per le sue opere) in questa riscrittura emerge prepotentemente come attuale. Le parole non bastano a descrivere la vitalità e la carica di viva realtà umana che stanno dietro a questo spettacolo – dove il tema del cambiamento esistenziale sognato e fallito, scandito da immersioni/rinascite (sognate e desiderate) nella vasca d'acqua che “sta per” la piscina, assume una verità straziante e soprattutto vera per oggi e per ieri. Čechov nostro contemporaneo.
 

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