venerdì 10 luglio 2015

Oltre il guado

Lorenzo Bianchini

Potrebbe essere il film migliore di Lorenzo Bianchini il bellissimo Oltre il guado (che, dopo alcune presentazioni in sedi specializzate, solo dopo una lunga attesa esce in Italia in un dvd Cecchi Gori. Per questo pubblico solo adesso la presente recensione).
Presentando il film al Visionario di Udine nel 2013 il regista dichiarava che nel suo “minimalismo narrativo” Oltre il guado si situa in continuità di atmosfera col precedente Occhi. E tuttavia, a mio parere, questo film risolve brillantemente la contraddizione che segnava Occhi, tra il gusto di Bianchini per un horror legato all'ambiguità e alla soggettività dei personaggi (un horror che si potrebbe dire lewtoniano) e l'esigenza del racconto di enunciare un quid, un “che cosa” su cui organizzarsi. Mentre Occhi un po' si perdeva – seppure nobilmente – nel suo parti pris, Oltre il guado riesce magnificamente a coniugare la poetica di Bianchini e la concretezza del racconto, il quid orrorifico degli avvenimenti e l'ambiguità della visione.
Trattandosi di un film horror (il regista preferisce parlare di un film sulla solitudine; ma c'è poi tanta differenza?), sarebbe antipatico anticipare, ma si può dire che il film presenta una coppia di gemelle (bambine/adulte) spettrali, in confronto alle quali le gemelle di Shining sembrano Shirley Temple e la sua sorellina. E' la storia di un etologo che resta bloccato durante le sue rilevazioni solitarie fra le colline fra Friuli e Slovenia; ove naturalmente il passaggio del fiume è come quello di un ponte, ovvero è un passare di là entrando in un mondo dove sono all'opera forze oscure. Passato il guado (che poi verrà ingrossato dalla pioggia che accompagna ossessiva il film), l'uomo si volta a guardare indietro con espressione preoccupata; sul piano diegetico è la paura che il fiume si gonfi bloccandolo; su quello simbolico (o della premonizione inconscia) è lo sguardo alla terra firma che ha abbandonato entrando nel regno dei fantasmi (come non ricordare la famosa didascalia apocrifa del Nosferatu di Murnau).
Se in Occhi c'era lo sguardo del terrore (la frase “Mi guardano”, declinata in varie forme, era il Leitmotiv del film), Oltre il guado è un film sul terrore dello sguardo. Come sempre la domanda sottesa all'horror è: voglio veramente vedere? Perché lo sguardo è un mezzo di difesa, vuole identificare, riconoscere la minaccia – ma è la nudità dello sguardo che ci fa riconoscere la nudità del corpo, la sua vulnerabilità.
Lo sguardo in Oltre il guado viene declinato in quattro forme. 1) il racconto oggettivo della narrazione - 2) la soggettiva del personaggio (come quando si aggira fra i teli di plastica in una stanza maledetta) - 3) il POV mobile di una telecamera che l'etologo ha applicato al collo di una volpe - 4) il POV fisso delle telecamere che il protagonista attacca agli alberi per studiare la fauna del luogo, e che “vedono” più di quanto dovrebbero. La prima apparizione delle due gemelle appartiene a questo quarto modo, e nel suo fisso contiene di conseguenza una concretezza documentaria che esclude l'allucinazione – quindi, una ineluttabilità.
Merita aggiungere che nelle riprese notturne, grainy, di questa telecamera a raggi infrarossi gli occhi degli animali, come i cinghiali, appaiono come punti di luce scintillanti; nel che non c'è niente di strano, ma quando più avanti il filmato cattura l'immagine delle spettrali gemelle, la mera contingenza fotografica dei loro occhi scintillanti viene ripresa e giocata in chiave orrorifica.
Bloccato, il protagonista esplora un villaggio deserto. Oltre il guado è costruito su una interconnessione di spazi, cooperanti all'unisono alla costruzione di una tensione crescente. Il primo è lo spazio aperto del bosco, dove la mdp di Bianchini cattura con evidenza veramente fisica la grigia e tersa umidità del bosco stillante. All'opposto stanno gli spazi interni delle case vuote, dove Bianchini sfrutta al meglio l'effetto di quel bric-à-brac di vecchie cose che vi si trovano; pare una sinestesia, allo sguardo sembra di sentire l'odore di muffa dei vecchi abiti, degli armadi e cassettoni, delle cucine abbandonate, dei banchi di una tetra scuola. La disperata solitudine degli oggetti.
Come medio fra i due opposti si pongono gli esterni del paese vuoto (la location di questi esterni è stata fornita da Topolò), che congiungono in sé la fredda solitudine degli esterni nella natura e il senso di umanità abbandonata degli interni nelle case.
C'è un segreto, naturalmente, come nel para-lovecraftiano Custodes Bestiae, e altrettanto orribile, ma meno spostato verso la peripezia tradizionale dell'horror. Una caratteristica di Bianchini che è un suo punto di forza (certo debitore a Dario Argento, al Bava di Operazione paura, a Pupi Avati, ma elaborato con eccellenti risultati evocativi) è quello che altrove ho chiamato “horror antiquario” - appunto, il fascino malato delle vecchie cose ammuffite. Ma a ben vedere, pure le due gemelle fantasma, sebbene ancora presenti e mortalmente pericolose, appartengono a quella congerie di cose passate e appassite rappresentata dal paese. Non per nulla, al di là di scarne dichiarazioni sul filo della memoria (“Anche i cani avevano paura di loro”... “Non eravamo più sicuri neanche nelle nostre case”...), quel poco di ambigua backstory che ci è fornito è affidato a forme di registrazione dell'immagine non meno vetuste degli oggetti: vecchie foto, vecchi filmati in formato amatoriale. Come tutti gli spettri le due gemelle sono un passato che non passa.
Molto ben interpretato da Renzo Gariup, Oltre il guado (sceneggiato da Lorenzo e Michela Bianchini, fotografato da Daniele Trani e montato dal regista) si basa sul potere delle suggestioni auditive, con un magnifico montaggio del suono di Davide Piotto, dove il linguaggio umano – italiano e sloveno – ha un ruolo secondario. Le gocce della pioggia incessante battono sui mobili dentro le case diroccate; è come se l'acqua fosse manifestazione della malignità primordiale e oscura che avvolge la zona.
Questo film di stupefacente tensione lavora molto sul movimento suggerito e supposto - c'è sempre qualcosa fuori dal campo visivo. Il film si svolge in una spirale di penosa rivelazione, offuscata e incompleta, del passato. La lentezza è la base del lavoro del protagonista etologo: osservare il comportamento animale attraverso le telecamere, decodificarne pazientemente i segni. Ora, anche l'entrata dell'orrore nella sua esistenza sembra realizzarsi attraverso la stessa forma lenta e indiretta dello studio degli animali – con in più l'angoscia. L'occhio che guarda adesso ha paura.

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