Potrebbe
essere il film migliore di Lorenzo Bianchini il bellissimo Oltre
il guado (che, dopo alcune
presentazioni in sedi specializzate, solo dopo una lunga attesa esce
in Italia in un dvd Cecchi Gori. Per questo pubblico solo adesso la
presente recensione).
Presentando
il film al Visionario di Udine nel 2013 il regista dichiarava che nel
suo “minimalismo narrativo” Oltre il guado
si situa in continuità di atmosfera col precedente Occhi.
E tuttavia, a mio parere, questo film risolve brillantemente la
contraddizione che segnava Occhi,
tra il gusto di Bianchini per un horror legato all'ambiguità e
alla soggettività dei personaggi (un horror che si potrebbe dire
lewtoniano) e l'esigenza del racconto di enunciare un quid,
un “che cosa” su cui organizzarsi. Mentre Occhi
un po' si perdeva – seppure nobilmente – nel suo parti
pris, Oltre
il guado riesce
magnificamente a coniugare la poetica di Bianchini e la concretezza
del racconto, il quid
orrorifico degli avvenimenti e l'ambiguità della visione.
Trattandosi
di un film horror (il regista preferisce parlare di un film sulla
solitudine; ma c'è poi tanta differenza?), sarebbe antipatico
anticipare, ma si può dire che il film presenta una coppia di
gemelle (bambine/adulte) spettrali, in confronto alle quali le
gemelle di Shining
sembrano Shirley Temple e la sua sorellina. E' la storia di un
etologo che resta bloccato durante le sue rilevazioni solitarie fra
le colline fra Friuli e Slovenia; ove naturalmente il passaggio del
fiume è come quello di un ponte, ovvero è un passare di
là entrando in un mondo dove
sono all'opera forze oscure. Passato il guado (che poi verrà
ingrossato dalla pioggia che accompagna ossessiva il film), l'uomo si
volta a guardare indietro con espressione preoccupata; sul piano
diegetico è la paura che il fiume si gonfi bloccandolo; su quello
simbolico (o della premonizione inconscia) è lo sguardo alla
terra firma che ha abbandonato
entrando nel regno dei fantasmi (come non ricordare la famosa
didascalia apocrifa del Nosferatu
di Murnau).
Se
in Occhi c'era lo
sguardo del terrore (la frase “Mi guardano”, declinata in varie
forme, era il Leitmotiv
del film), Oltre il
guado è un film sul
terrore dello sguardo. Come sempre la domanda sottesa all'horror è:
voglio veramente vedere? Perché lo sguardo è un mezzo di difesa,
vuole identificare, riconoscere la minaccia – ma è la nudità
dello sguardo che ci fa riconoscere la nudità del corpo, la sua
vulnerabilità.
Lo
sguardo in Oltre il guado
viene declinato in quattro forme. 1) il racconto oggettivo della
narrazione - 2) la soggettiva del personaggio (come quando si aggira
fra i teli di plastica in una stanza maledetta) - 3) il POV mobile di
una telecamera che l'etologo ha applicato al collo di una volpe - 4)
il POV fisso delle telecamere che il protagonista attacca agli alberi
per studiare la fauna del luogo, e che “vedono” più di quanto
dovrebbero. La prima apparizione delle due gemelle appartiene a
questo quarto modo, e nel suo fisso
contiene di conseguenza una concretezza documentaria che esclude
l'allucinazione – quindi, una ineluttabilità.
Merita aggiungere che
nelle riprese notturne, grainy, di questa telecamera a raggi
infrarossi gli occhi degli animali, come i cinghiali, appaiono come
punti di luce scintillanti; nel che non c'è niente di strano, ma
quando più avanti il filmato cattura l'immagine delle spettrali
gemelle, la mera contingenza fotografica dei loro occhi scintillanti
viene ripresa e giocata in chiave orrorifica.
Bloccato,
il protagonista esplora un villaggio deserto. Oltre il
guado è costruito su una
interconnessione di spazi, cooperanti all'unisono alla costruzione di
una tensione crescente. Il primo è lo spazio aperto del bosco, dove
la mdp di Bianchini cattura con evidenza veramente fisica la grigia e
tersa umidità del bosco stillante. All'opposto stanno gli spazi
interni delle case vuote, dove Bianchini sfrutta al meglio l'effetto
di quel bric-à-brac di vecchie cose che vi si trovano; pare una
sinestesia, allo sguardo sembra di sentire l'odore di muffa dei
vecchi abiti, degli armadi e cassettoni, delle cucine abbandonate, dei banchi di una tetra scuola. La
disperata solitudine degli oggetti.
Come
medio fra i due opposti si pongono gli esterni del paese vuoto (la
location di questi
esterni è stata fornita da Topolò), che congiungono in sé la
fredda solitudine degli esterni nella natura e il senso di umanità
abbandonata degli interni nelle case.
C'è
un segreto, naturalmente, come nel para-lovecraftiano Custodes
Bestiae, e altrettanto orribile,
ma meno spostato verso la peripezia tradizionale dell'horror. Una
caratteristica di Bianchini che è un suo punto di forza (certo
debitore a Dario Argento, al Bava di Operazione paura,
a Pupi Avati, ma elaborato con eccellenti risultati evocativi) è
quello che altrove ho chiamato “horror antiquario” - appunto, il
fascino malato delle vecchie cose ammuffite. Ma a ben vedere, pure le
due gemelle fantasma, sebbene ancora presenti e mortalmente
pericolose, appartengono a quella congerie di cose passate e
appassite rappresentata dal paese. Non per nulla, al di là di scarne
dichiarazioni sul filo della memoria (“Anche i cani avevano paura
di loro”... “Non eravamo più sicuri neanche nelle nostre
case”...), quel poco di ambigua backstory
che ci è fornito è affidato a forme di registrazione dell'immagine
non meno vetuste degli oggetti: vecchie foto, vecchi filmati in
formato amatoriale. Come tutti gli spettri le due gemelle sono un
passato che non passa.
Molto
ben interpretato da Renzo Gariup, Oltre il guado
(sceneggiato da Lorenzo e Michela Bianchini, fotografato da Daniele
Trani e montato dal regista) si basa sul potere delle suggestioni
auditive, con un magnifico montaggio del suono di Davide Piotto, dove
il linguaggio umano – italiano e sloveno – ha un ruolo
secondario. Le gocce della pioggia incessante battono sui mobili
dentro le case diroccate; è come se l'acqua fosse manifestazione
della malignità primordiale e oscura che avvolge la zona.
Questo
film di stupefacente tensione lavora molto sul movimento suggerito e supposto - c'è sempre qualcosa fuori dal campo visivo. Il film si svolge in una spirale di penosa
rivelazione, offuscata e incompleta, del passato. La lentezza
è la base del lavoro del protagonista etologo: osservare il
comportamento animale attraverso le telecamere, decodificarne
pazientemente i segni. Ora, anche l'entrata dell'orrore nella sua
esistenza sembra realizzarsi attraverso la stessa forma lenta e
indiretta dello studio degli animali – con in più l'angoscia.
L'occhio che guarda adesso ha paura.
Nessun commento:
Posta un commento