venerdì 26 settembre 2014

I racconti della luna pallida d'agosto

Mizoguchi Kenji
I racconti della luna pallida d’agosto – Leone d’argento alla Mostra di Venezia 1953 - rappresenta uno dei vertici dell’attività registica di Mizoguchi, che si misura con il difficile compito di trasporre due diversi racconti del grande scrittore giapponese del diciottesimo secolo Ueda Akinari incrociandoli con una novella di Guy de Maupassant. Accanto a Tanaka Kinuyo (Miyagi), appare nella parte della spettrale Lady Wakasa un’altre delle grandi attrici mizoguchiane: Kyo Machiko, che nel 1950 aveva interpretato Rashomon di Kurosawa Akira, e tornerà a recitare per Mizoguchi ne L’imperatrice Yang Kwei-fei, Shin Heike Monogatari e La strada della vergogna.
La straordinaria fusione operata da Mizoguchi tra realismo poetico e misticismo surreale crea un’atmosfera rarefatta, bellissima e austera. Il film è anche una metafora sul dolore e le aberrazioni causate dalla guerra. In tutto il film vediamo la guerra e i soldati sotto la luce più antieroica possibile. Memorabile e terribile è la comparsa dei due diversi gruppi di soldati che stuprano Ohama e uccidono Miyagi: entrata in campo con la più assoluta semplicità: la guerra è appena fuori dal bordo dell’inquadratura. 
Narrativamente l’opera è strutturata attraverso un articolato e complesso gioco di parallelismi e rimandi (Tobei e Ohama sono il doppio basso-mimetico, caricato di sobri effetti umoristici, della coppia protagonista); entrambi i due mariti si buttano volontariamente in braccio alle loro illusioni, abbandonando le due mogli che oppongono loro la voce inascoltata della ragione; inoltre, la vicenda di Genjuro si sdoppia fra una moglie reale, che abbandona (e riapparirà come fantasma), e una moglie spettrale che invece desidera, finché non dovrà rendersi conto della sua vera natura. 
Ne I racconti della luna pallida d’agosto il mondo dei vivi e quello dei morti si intersecano e s’incrociano, comunicano tra loro, quasi si fondono. Così il mondo “reale” e la fortuna terrena diventano qualcosa di impalpabile e mutevole, in continua trasformazione, qualcosa che mai si riesce a stringere e possedere – e il concetto è connesso nel film al magnifico uso degli spazi da parte della regia di Mizoguchi. Tutte le scene dell’incontro tra Genjuro e Wakasa, attraverso l’alternanza tra esterno ed interno sono un esempio perfetto della dicotomia visiva tra realtà fisica e ombre eteree.
In tutto il suo cinema Mizoguchi riflette sulla figura dell’artista; il film che più chiaramente realizza il suo discorso è, naturalmente, Utamaro o Meguru Gonin no Onna. Nel presente film, Genjuro è un abile vasaio, che però inizialmente non persegue la bellezza in sé (come per Utamaro, l’arte trova in se stessa il proprio scopo) ma a scopo di guadagno e di promozione sociale. Infatti nella spettrale Lady Wakasa Genjuro non è attratto solo dal sogno di un amore aristocratico ma anche dal riconoscimento, per bocca della nobildonna, dell’eccellenza dei suoi lavori. La conclusione lo vede non solo contento di rimanere nel proprio villaggio, come Tobei, ma purificato dai sogni di gloria da ottenere mediante il suo lavoro. Sua moglie Miyagi devota fino all’estremo, la cui voce fantasma accompagnerà Genjuro nella sua esistenza a venire, è l’emblema di questi valori, dell’amore e della serenità familiare. 

(Mizoguchi Kenji. Un'implacabile perfezione, a cura di Cecilia Collaoni e Giorgio Placereani, Udine-Pordenone 2007)

 
 


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