martedì 1 luglio 2014

Thermae Romae

Takeuchi Hideki

Un americano alla corte di re Artù viene rovesciato nella geniale commedia di viaggi nel tempo Thermae Romae. Nel romanzo di Mark Twain, un uomo del futuro finiva nel passato, e quindi lo sguardo andava dalla civiltà superiore, con le sue conoscenze, a quella inferiore (infatti il Connecticut yankee del romanzo reinventava una buona parte della tecnologia moderna, fino ad abbattere i cavalieri della Tavola Rotonda a colpi di pistola).
La situazione è più buffa in questo peplum giapponese di Takeuchi Hideki, tratto dal manga di Yamazaki Mari, dove è un uomo del passato che finisce nel futuro: l'architetto di terme Lucius Modestus viaggia ripetutamente dall'antica Roma al Giappone d'oggi, scoprendo con occhio stupito e ammirato le meraviglie tecnologiche che gli capitano sotto. Quest'idea non è inedita al cinema (I visitatori di Jean-Marie Poiré) ma Thermae Romae la rende con un umorismo e una carica inventiva particolari.
Ignaro di trovarsi nel futuro, convinto che quelle persone esotiche siano schiavi, Lucius esplora i bagni giapponesi senza capirne niente, e trae dagli oggetti che vede conclusioni folli (seduto sul water, si fa scorrere fra le dita la carta igienica ammirandone il motivo grafico: “Geroglifici su un prezioso papiro. Deve trattarsi di un documento di valore”). L'effetto di straniamento degli oggetti quotidiani rare volte è stato realizzato così bene. Tornato a Roma, Lucius copia ciò che ha visto adattando alla tecnologia romana (quello che crede essere) il loro funzionamento, e qui il film ha momenti di fantasia deliziosa. Impagabile lo Jacuzzi realizzato per l'imperatore Adriano, con schiavi nascosti che soffiano dentro budella di animale per fare le bollicine. Il successo è grande, anche se il suo orgoglio di imperialista romano è umiliato: una scissione interiore resa assai bene dall'eccellente interprete Abe Hiroshi - la cui tonica nudità è un filo rosso del film, per la delizia delle spettatrici. Piace anche a Mami (Ueto Aya), la disegnatrice giapponese che si innamora di Lucius (fatica sprecata: Lucius pensa solo al lavoro) e viene trascinata nel tempo con lui. Tornata in Giappone, ne farà l'eroe del proprio manga (indovinate il titolo? Thermae Romae).
Nota che se si è parlato solo di bagni e sanitari è perché un aspetto chiave del bizzarro humour del film è il suo carattere, per così dire, terme-centrico. Non solo la carriera di Lucius ma la politica e tutto il destino della civiltà romana dipendono dal livello delle terme, che giocano un ruolo centrale nei piani politici dell'imperatore Adriano, interpretato dall'ottimo Ichimura Masachika: infatti per i protagonisti romani Thermae Romae impiega attori giapponesi di aspetto nihonjnbanare (poco nipponico - devo l'aggettivo a una recensione di Mark Schilling). Si può aggiungere che nel film il rapporto fra Lucius e il suo autoritario imperatore è un mix fra una Roma d'invenzione (peplum, appunto) e il medioevo feudale giapponese.
Nella seconda parte, che si svolge sul Danubio, con la partecipazione attiva di un gruppo di vecchietti giapponesi in puro stile manga, il film resta sempre assai piacevole, anche se si allarga a uno svolgimento (sempre di tono comedy) politico-avventuroso non folgorante come all'inizio, con un bel piccolo tocco mélo. Non manca a Thermae Romae un tocco di orgoglio nipponico: all'inizio la meraviglia di Lucius davanti a ciò che vede - “Sostituire alla grandiosità ciò che è semplice e razionale!” - esprime l'estetica giapponese, alla fine del film arriva il suo elogio ammirato della capacità giapponese di  mettere il gruppo davanti all'individuo.
Questo peplum del Giappone, girato in parte a Cinecittà, riprende con mucho gusto stilemi e caratteristiche del genere, dal commento musicale “risonante”, con grande uso di trombe e timpani, alla pomposa scenografia alla solennità coreografica dei movimenti (l'apparizione del personaggio di Adriano è un capolavoro). Fedele al genere, il film recupera la storia romana in modo fantasioso ma lodevole: bellissimo per esempio l'inserimento della storia, autentica, di Adriano e Antinoo - il suo giovane amante annegato nel Nilo - nel plot. Il tono tongue in cheek si spinge fino a usare il latino (non correttissimo) in gustosi brani di dialogo, nonché nelle meravigliose didascalie di tempo sottotitolate in giapponese (“Aliquot mensibus post”).
Già che abbiamo menzionato la musica, conviene ricordare che accanto alla score stile peplum v'è un fortissimo impiego di arie d'opera italiane, sia accordate con la narrazione (la Tosca su un momento di depressione, la Marcia trionfale dell'Aida sull'exploit delle terme per soldati feriti, la Butterfly su una conclusione sentimentale, il Vincerò della Turandot sul pubblico elogio di Adriano a Lucius) sia usate per accompagnare i viaggi nel tempo, in questo caso con una figura di tenore in un paesaggio montano, non senza una graziosa serie di gag.
Ombra della nostra defunta “Hollywood sul Tevere”! Anche se qui i sales (direbbero i latini) vengono dall'incrocio fra due culture e due cinematografie, adesso dobbiamo imparare dai giapponesi pure come fare i “sandaloni”. Davvero l'ansimante cinematografia italiana dovrebbe mettersi a studiare.

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