martedì 31 dicembre 2013

Molière in bicicletta

Philippe Le Guay

Un po' indeciso ma senz'altro piacevole, Molière in bicicletta di Philippe Le Guay è uno di quei film francesi di buon artigianato che si reggono su eccellenti prove d'attore - in questo caso, Fabrice Luchini (Serge) e Lambert Wilson (Gauthier).
Quest'ultimo nel racconto è un attore di grande successo grazie a un brutto telefilm di cui si vergogna (Le Guay sfodera tutto il suo gusto parodistico quando ce ne mostra l'orrida sigla d'apertura e un paio di scene). Va a trovare il vecchio collega e amico Serge, il quale dopo una depressione si è ritirato e vive in campagna, dipingendo brutti quadri in una casa maleodorante (la fossa biologica è da riparare). La proposta: mettere in scena a teatro Il misantropo di Molière. Come Laurence Olivier e John Gielgud in un famoso Romeo e Giulietta, Gauthier e Serge si alterneranno nelle due parti principali: Alceste, lo scorbutico moralista che condanna tutto il mondo, e Filinte, il suo amico che sostiene che bisogna fare dei compromessi per la convivenza sociale.
Molière gioca la commedia su questo scontro di caratteri, e la pone in maniera aperta (ha ragione Filinte: “La virtù perfetta fugge ogni estremo”); ma Le Guay (anche sceneggiatore) è tutto per Alceste, e su questo imposta il film. Sì, perché lo spettatore si accorge subito che, in un gioco di specchi, Serge e Gauthier sono essi stessi Alceste e Filinte. Anche dei fatti biografici rafforzano l'analogia (c'è una causa perduta senza difendersi, per spregio, sia da Alceste sia da Serge). “Non concedi niente, tu, eh?”, detto da Gauthier a Serge, si potrebbe dire altrettanto bene ad Alceste.
Così, vediamo i due replicare “in abisso” i loro caratteri e il loro rapporto col mondo mentre provano la parte (e mentre litigano come bambini), in un contrasto fra l'integrità che rischia di trasformarsi in irascibilità autocompiaciuta e la flessibilità che rischia di trasformarsi in interesse ipocrita.
E' uno splendido tocco di sceneggiatura quando questo dibattito viene trasferito persino sul piano del modo di recitare gli alessandrini di Molière: Serge difende irosamente la recitazione filologica, Gauthier è disposto a venire incontro al gusto del pubblico contemporaneo. Non mancano notazioni psicologiche assai belle. Per esempio, quando tocca a Gauthier di recitare Alceste nelle prove, lui lo fa assai meglio dopo che una rissa al mercato ha portato via una buona porzione della sua soddisfazione di sé. Oppure, è proprio degna di Alceste l'idea di Serge di farsi vasectomizzare per non rischiare di mettere al mondo altri uomini (anche se all'ultimo momento gli viene freddo ai piedi).
La prevedibile conclusione... no, ferma: giacché chi scrive è piuttosto Filinte che Alceste, si pianta qui il cartello “Attenzione, spoiler”, laddove Alceste tirerebbe dritto... la prevedibile conclusione è che la commedia andrà in scena col solo Gauthier, con un altro partner. Serge, con una sciarpa bianca al collo che ricorda lo jabot del costume di scena, recita i versi misantropici di Alceste da solo sulla spiaggia in riva al mare. Come per Alceste alla fine della commedia, la solitudine è insieme il suo destino e la sua scelta; ma per Serge è una vittoria morale.
Philippe Le Guay però non ha né la nettezza né il coraggio di Roman Polanski (Venere in pelliccia) nel mantenere tutto il film sul fascino della prova teatrale, sul gioco di caratteri, sulla mise en abyme. Così immette nel film molti riempitivi (la ricerca della casa da comprare, la figura del tassista, i piccoli incidenti come la doppia caduta in acqua). Inserisce il personaggio dell'italiana Francesca (Maya Sansa, la cui recitazione appare inadeguata), un personaggio che in pratica ha la funzione soltanto di rotella del plot: serve a far litigare i due. Prepara accuratamente il personaggio della giovane Zoé (Laurie Bordesoules), pornostar in erba che sbalordisce i due quando recita una scena del Misantropo nel ruolo di Celimene - e poi parte per Bucarest e scompare dal film. Che cosa voleva dirci Le Guay? Che anche una pornodiva può saper recitare? Che è un peccato perché il teatro è “più cultura” del cinema porno? L'episodio resta sospeso in aria nella nebbia di una vaga disapprovazione morale.
In ogni modo, la naturalezza, la convinzione, la sincera intensità di questi due magnifici attori francesi vale ampiamente il prezzo del biglietto; e più in generale Molière in bicicletta è un film intelligente, dal quale si esce rinfrescati - e in un mood meditativo, come no.

3 commenti:

unonn ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Francesco Grieco ha detto...

In realtà, stranamente, Le Guay ha dichiarato di riconoscersi di più, nella vita, nell'estroverso Gauthier.

Per la serie meglio tardi che mai, Giorgio, devo da tempo complimentarmi con lei: la sua lezione su Hitchcock pochi anni fa, per noi "ragazzi" di Mediacritica, è stata un vero e proprio capolavoro di umorismo, didattica, eleganza e, ovviamente, di critica! :)

giorgioplac ha detto...

Grazie (blush!) caro Francesco. E' molto interessante quello che mi dice sulla dichiarazione di Le Guay - ma allora, credo sia da vederci una frattura fra simpatia e ideologia, perché certo questa maggiore propensione verso Gauthier non emerge dal film; dove la scena pre-finale di Serge in costume alla festa è la classica scena di "presa di coscienza" che non mancava mai nel vecchio cinema italiano...