domenica 15 settembre 2013

"Che strano chiamarsi Federico" - Scola racconta Fellini

Ettore Scola

A parte (va da sé) il contenuto, che è il commosso omaggio di Ettore Scola al suo amico Federico Fellini, il tratto più importante di “Che strano chiamarsi Federico” - Scola racconta Fellini è il rispecchiarsi e rifrangersi del discorso sul proprio argomento e di un autore su un altro autore. Questo docu-film misto di materiali e ricostruzione è un gioco di specchi, una serie di scatole cinesi stregate che si rovesciano l'una nell'altra. E ci fa riflettere su quelle analogie tra Fellini e Scola come cineasti che spesso rimangono inosservate. A ripensarci, tutto il cinema di Scola assume una differente luce. Per esempio è affascinante accostare Brutti, sporchi e cattivi al Fellini (a suo modo) realista degli anni '50; ma il film più indicativo in tal senso è sicuramente Il mondo nuovo. Lo suggerisce anche “Federico”, sebbene solo nell'ottica del personaggio: la scelta di Scola di dare la parte di Casanova a Mastroianni, ciò che Fellini non aveva fatto per il Casanova di alcuni anni prima (nel presente film, per inciso, vediamo i provini che Fellini fece a Sordi, Tognazzi e Gassman, e sono una perla). Ci invita a meditare sul gioco di analoghe pulsioni e differenti esiti (Fellini risolve la materia secondo la sua vis poetica, Scola attraverso la sua passione politica e didattica).
Scola si rispecchia in Fellini, e lo mette bene in rilievo la prima parte di “Federico”: sono due plutarchiane “Vite parallele”. Entrambi, provinciali inurbati, cominciano la loro carriera scrivendo e disegnando per il “Marc'Aurelio”. Della redazione di questa rivista il film mette in scena una ricostruzione vivissima - e che nomi da brivido rinascono sullo schermo! Steno, Mosca, Attalo, Maccari, Marchesi, Metz... Tutto il meglio della grande stagione perduta dell'umorismo italiano. Entrambi lavorano in veste di “negri” per il cinema di Marchesi e Metz (più tardi vediamo apparire anche Age e Scarpelli).
Amici per tutta la vita, hanno in comune anche un interesse verso lo svelamento della finzione cinematografica (per Fellini, fra tanti titoli vorrei citare E la nave va, capolavoro assoluto dell'ultimo periodo). In “Federico”, vedi quando la descrizione realistica in b/n della redazione del “Marc'Aurelio” culmina in un saluto di Fellini, passato al cinema, che chiama dalla strada i suoi ex colleghi, questi lo raggiungono per accalcarsi nel suo macchinone, ma il giovanissimo Scola, intimidito, resta di sopra; c'è uno scambio di guardi; ed ecco che la scena si rivela essere un set, il Teatro 5 di Cinecittà di felliniana memoria; e questa rivelazione del “falso” della ricostruzione si rinnova, passati al colore, un attimo dopo. Di qui in poi, l'artificio del cinema viene continuamente esibito: vedi le prostitute e poi il madonnaro su uno sfondo del tutto artificiale, o i giri in macchina per Roma con un trasparente di voluta evidenza (e accanto all'auto rombano i motociclisti del cupo finale di Roma). I tempi si confondono: Fellini e Scola, inquadrati di spalle, sono anziani ma il racconto della prostituta che fanno salire in auto, imbrogliata dal fidanzato che le ha sottratto i risparmi, sembra contenere l'ispirazione per Le notti di Cabiria di tanti anni prima.
Scola illustra Fellini in stile felliniano. Una pagina di “Ma tu mi stai a sentire?” - la surreale rubrica del giovane Fellini sul “Marc'Aurelio” - viene visualizzata in figurette del tutto felliniane, tra Amarcord e Roma; solo che vi riconosciamo i personaggi grafici del disegnatore Attalo: non è un semplice omaggio ma serve a ricordarci quanto dovesse Fellini a quel mondo. Ancora, c'è una reminiscenza di Roma in una scena del film coi giovani Fellini e Maccari al varietà che assistono al naufragio di uno spettacolo scritto da loro; sono puro Fellini anche quelle polpose ballerine, sebbene bisogni aggiungere che lo stesso Scola ha spesso mostrato un'ispirazione simile. Fa da tramite fra il film e il pubblico un narratore (interpretato da Vittorio Viviani), il cui rapporto con gli spettatori assomiglia straordinariamente a quello di Freddie Jones in E la nave va.
Caldo, umano, incisivo, “Federico” è un vero concentrato di professionalità; non c'è un dettaglio (men che mai un volto) che sia buttato lì o lasciato al caso, come capita spesso oggi. Accanto alla sceneggiatura di Ettore, Silvia e Paola Scola, alla fotografia di Luciano Tovoli, alla musica di Andrea Guerra, bisogna menzionare il montaggio elegante e funzionale firmato dal vecchio collaboratore di Scola Raimondo Crociani. Certi stacchi e soluzioni di raccordo sono una delizia: per esempio, quando dal bollettino di guerra (ascoltato alla radio in casa Scola), pronunciato con la “maschia” voce impostata in uso sotto il fascismo, si stacca con bella logicità al ras Ettore Muti in divisa in visita alla redazione del “Marc'Aurelio”.
Se si volesse trovare un difetto in “Che strano chiamarsi Federico”, è un'ombra di squilibro fra le sue due parti: la prima, l'accurata rievocazione della redazione del “Marc'Aurelio” e dell'arrivo di Fellini (e anni dopo, di Scola) in quella sede; la seconda, una relazione di Fellini come personaggio e regista famoso. Tuttavia sarebbe stato impossibile per il film mantenere lo stesso tono minuzioso e disteso, tanto più che non vuol essere un biopic. Diciamo che mentre la prima parte è analitica, la seconda è sintetica, quasi impressionistica. Ed elegiaca nella conclusione: vediamo il filmato dell'omaggio dei romani alla salma di Fellini vegliata da due carabinieri in alta uniforme. Riconosciamo la Ekberg, Benigni, Renato Nicolini. Ah, ma il morto se la svigna, inseguito dai due carabinieri! La sua fuga per Roma lo porta a una giostra – e mentre la giostra gira, un montage velocissimo fa scorrere sullo schermo immagini di tutti i suoi film. Ma quando infine appaiono i motociclisti di Roma e l'enorme palla di ferro di Prova d'orchestra, allora quel ritmo accelerato rallenta drammaticamente - a ricordarci quell'elemento nero, più che pessimista disperato, che esisteva in Fellini sotto la fantasia capricciosa e il rimpianto crepuscolare accompagnati dalle note di Nino Rota.

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