mercoledì 19 ottobre 2011

Carnage

Roman Polanski

A proposito di oggetti-simbolo, così frequenti nel cinema, la cui nuda presenza rimanda icasticamente a un complesso di significati, ve n’è uno di felice invenzione in “Carnage” di Roman Polanski: su uno spartito sul pianoforte, nell’appartamento borghese dove si svolge il jeu de massacre del film, spicca una macchia rossa che fa pensare al sangue. Violentando un caposaldo della civiltà europea come la musica classica, l’immagine bene rappresenta l’argomento base di “Carnage”: il crollo della nostra tenue patina di civilizzazione sotto gli impulsi egoistici e violenti che ci dominano (lo stesso, in modo più sfumato, dice la scena di una gigantesca vomitata sui libri di pittura).
Tratto dal dramma di Yasmine Reza “Le Dieu du carnage”, il film riporta Polanski a una radice profonda del suo cinema: lo sguardo impietoso (e impietosamente divertito) su alcuni personaggi che si sbranano all’interno di uno spazio chiuso. Dopo che un undicenne ha ferito al volto un coetaneo in un litigio, i loro genitori si incontrano per risolvere civilmente la questione: Alan, l’avvocato maneggione sempre al cellulare; Nancy, sua moglie, la signora elegante che si sconvolge soprattutto per un criceto abbandonato; Penelope, l’acida sacerdotessa del politically correct; Michael, suo marito, che senza rendersene conto non ne può più di lei. Dapprima sono tutti sorrisi e complimenti (“Per fortuna qualcuno ha ancora il senso della comunità”) - poi si dilaniano. Fra le citazioni tra le righe, ottima quella di Ebenezer Scrooge del “Canto di Natale” dickensiano: è un testo classico del pentimento e della riconciliazione - ciò di cui non v’è ombra qui.
Il testo realizza veramente la farsa della tragedia. In un bel crescendo, presenta continue incrinature della superficie “civilizzata”, da cui filtra fuori l’aggressività come dal ghiaccio che s’incrina filtra l'acqua gelida. Alleanze temporanee si formano e si sciolgono: ricchi contro middle class, maschi contro femmine, mogli contro mariti all’interno della stessa coppia (“Secondo me la coppia è la peggior tortura che Dio ci abbia inflitto”). Se alla base stanno le differenze di classe e quelle di sesso, in ultima analisi - come dice Michael a un certo punto - ciascuno è solo.
Sfruttando al meglio la mobilità della mdp e un montaggio fluido e oliato, “Carnage” non elide la sua natura teatrale (peraltro risultante chiaramente dalla scansione drammaturgica) ma la rende cinematografica. La presenza di uno specchio nell’appartamento non ha i consueti valori simbolici (se non forse all’inizio) ma serve piuttosto ad ampliare lo spazio. Le caratterizzazioni (concretizzate in quattro interpretazioni da Oscar) sono una delizia. Vero è che i personaggi della pièce di Yasmine Reza sono un po’ programmatici; tuttavia questo difetto viene superato, e in ultima analisi assolto, dalla finezza dello sviluppo. Diversamente da un altro esempio di pièce teatrale portata sullo schermo da Polanski, “La morte e la fanciulla”, dove le limitazioni del testo (il carattere didattico dei personaggi, con annessa prevedibilità dello svolgimento, nonché un coup de théâtre di cinismo basso-drammaturgico come l’episodio, raccontato dalla protagonista, di lei che, dopo essere stata imprigionata e torturata, si trascina verso casa e là trova il suo amante che la sta cornificando con una compagna) lo rendevano indigeribile.
Dunque in "Carnage" saltano in aria i valori della convivenza civile; ma anche il mito dell’uomo guerriero (si citano Ivanhoe e John Wayne) cade quando il gioco al massacro mette a nudo la debolezza di questi aspiranti machos. Grande quando il gelido Alan crolla dopo che la moglie gli ha distrutto il cellulare, con matte risate delle due donne! Ma subito dopo, l’isterismo di Nancy quando l’altra le fa volare la borsetta è una risposta sarcastica al suo discorso contro i maschi che hanno barattato la virilità con gli oggetti. Si finisce con voli pindarici di odio. In ultimo i quattro restano in silenzio nella nebbia dello sputtanamento e della sconfitta (il film è una ronde della dichiarazione che quella è la giornata peggiore della loro vita), seduti nell’appartamento olezzante di whisky, vomito e colonia spruzzata.
La sceneggiatura di Polanski e Yasmine Reza aggiunge alla pièce una sequenza muta iniziale e una finale. L’inizio ci mostra in campo lungo l’incidente fra i due ragazzini, con l’ottima musica di Alexandre Desplat che diventa evocativo-demoniaca col salire in primo piano delle percussioni. Alla fine, partendo dal particolare del criceto abbandonato che è ancora vivo, Polanski e Reza aggiungono una scena muta che è una tenue nota di speranza: i due ragazzini hanno fatto la pace e giocano insieme. Ma mentre il criceto appare in dettaglio, loro anche stavolta li vediamo solo in campo lungo. Forse - metaforicamente parlando - è meglio che la mdp non mostri gli esseri umani troppo da vicino.

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