sabato 25 giugno 2011

L'ultimo dei templari

Dominic Sena

Diciamolo subito e togliamoci il pensiero: “L'ultimo dei templari” (“Season of the Witch”, diretto da Dominic Sena, scritto dal quasi esordiente Bragi Schut) non è un cattivo film come si sente in giro. Certo non bisogna aspettarsi, non dico Raoul Walsh, ma neppure Gore Verbinski. Fondamentalmente “L'ultimo dei templari” è un'avventura di Dungeons & Dragons: si tratta di andare da A a B superando una serie di ostacoli e, arrivati alla meta, spendere le energie residue nello scontro finale. Si vede con divertimento ma non c'è molto da commentare. Tuttavia, al di là dell'aspetto epidermico, si può riflettere su una contraddizione nel meccanismo narrativo.
Il film racconta di una coppia di cavalieri (Nicolas Cage e Ron Perlman, a.k.a. Hellboy) che hanno lasciato i crociati perché disgustati dai loro massacri di innocenti (i templari c'entrano solo nel titolo italiano). Arrestati per diserzione (e questa è grossa), vengono obbligati a scortare una giovane strega in catene, accusata di aver provocato la peste, fino a un monastero dove è conservata l'unica copia esistente di un testo esorcistico in grado di rimettere le cose in sesto.
A partire dalla sequenza della prigione, il racconto sembra costruirsi sopra il dubbio che questa strega (Claire Foy) sia solo una povera ragazza torturata dai fanatici. E' anche il dubbio di Nicolas Cage, che le promette: “Subirai un processo giusto” (pure questa è grossa. Vuol dire, con una giuria di suoi pari? La Magna Charta non era stata neppure stata scritta!). A poco a poco, però, con abile gradualità, si rivelano l'effettiva natura e pericolosità della strega - sicché il film diventa un incrocio fra “Solomon Kane” e “Quel treno per Yuma”. Molto bello, a un certo punto, un accenno di sorriso segreto della strega; fra gli interpreti del film (c'è anche Christopher Lee, irriconoscibile sotto una maschera di appestato) la migliore è proprio Claire Foy, che mette in scena una efficace carica di ambiguità.
Si potrebbe trovare una certa (limitata) sottigliezza in questo sviluppo graduale. Fatto sta che il film possiede un prologo - peraltro di discreta fattura - in cui una ragazza innocente e terrorizzata viene trascinata alla morte con l'accusa di stregoneria; viene annegata assieme ad altre due donne, l'una chiaramente innocente, l'altra inquietante (e con la faccia stregonesca d'ordinanza); e dopo l'esecuzione il cadavere rianimato di quest'ultima rispunta dal fiume e fa pagare il fio all'inquisitore.
E' evidente che questo prologo manda a gambe all'aria tutta la studiata ambiguità del racconto che segue, in quanto scodella subito quella proposizione - “gli inquisitori sono crudeli e fanatici ma le streghe esistono realmente” - che il resto del film cerca di rivelare a poco a poco (anche con un rovesciamento dello statuto morale del personaggio del prete). Così la parte migliore del suo gioco si perde. Rimangono comunque l'azione, l'enfasi, la sword and sorcery, e perché no, il videogame (i monaci-zombi nel finale). Derivativo quanto si vuole, eppure piacevole, questo fantasy medievale rientra perfettamente in quella specie di sub-genere corrivo ma non sconfortante che è il “Nicolas Cage movie”: fracassone, un po' sconclusionato, gigionesco come recitazione, costellato di one-liners alla diotifulmini: promette poco, ma quel poco lo mantiene.

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