giovedì 31 marzo 2011

Rango

Gore Verbinski

Parodia, e va bene. Ma spesso si dimentica che la parodia è un atto d'amore, o almeno di fascinazione, nei confronti dell'opera (o dell'intero genere) che, con nascosta perizia filologica, disseziona. E' puro amore nel caso dello splendido cartone animato western “Rango” di Gore Verbinski – che parte dall'elemento deformante per esaltarsi in una sorta di vertigine celebrativa, replicando l'epica a un livello più basso: il riferimento più immediato è al suo “The Mexican”, che con questo film ha più di un punto di contatto.
In “Rango” l'elemento parodistico è già largamente fornito dalla sostituzione degli uomini con gli animali. Il protagonista è un camaleonte, doppiato in originale da Johnny Depp (ma di faccia è così brutto da far pensare piuttosto a Jack Elam da giovane). Un camaleonte con ambizioni di attore che viene sbalzato giù dall'auto dei suoi proprietari mentre attraversa il deserto Mojave, e si ritrova – sull'onda delle sue vanterie – sceriffo di un villaggio che è la quintessenza delle cittadine del West; dove il losco sindaco, una tartaruga, segretamente specula sulla mancanza d'acqua (bello il bisticcio fra “acqua” e “liquidi”, relativo alla banca, ricorrente nel film).
Un classico plot western – l'attore divenuto sceriffo per caso – viene dunque trasferito nei corpi degli animaletti: siamo al livello di altezza minimale della piccola fauna del deserto (chi se lo chiedesse, come cavalcature usano uccelli corridori). Non per nulla le figure della minaccia – la belva e il pistolero malvagio – sono incarnate da animali più grossi, rispettivamente un falco e un crotalo. Merita ricordare che già in “Un topolino sotto sfratto” Gore Verbinski aveva preso le parti delle piccole creature coraggiose di fronte a giganti più grandi e potenti di loro.
Se tutto il cinema, e specialmente il cinema di genere, si basa molto sulle fisionomie (di qui il gusto fisiognomico di Roman Polanski nelle sue due parodie, il capolavoro “Per favore non mordermi sul collo” e il non capolavoro “Pirati”), per il western è ancora più vero che per gli altri generi. Il western contemporaneo in particolare si compiace, nelle sue figure iconiche, di barbe malfatte e ispide, di occhiaie che spiccano in volti induriti, di primi piani che trasmettono una sensazione visiva di sudore vecchio. Ma se nei western recenti c'è qualcosa di bestiale negli uomini, basta rovesciare il concetto, e abbiamo qualcosa di umano nelle bestie. In “Rango” i piccoli animali forniscono alle figure tipiche del western fisionomie sublimi. La classica bambina con le treccine, col musetto espressivo dai grandi occhi, qui è un toporagno – e il musetto è proprio un musetto; eppure, in tutta la storia del cinema western, mai musetto infantile è stato più espressivo e commovente del suo. Però anche senza peli ispidi (o piume corte che ne fanno le veci) il senso fisiognomico del film è prodigioso: sa anche dipingere la bellezza femminile nel “viso” liscio, regolare e squamoso, di una lucertola (l'oggetto d'amore del protagonista).
Come già dichiarano i titoli di testa, “Rango” è un omaggio al western italiano (il poncho alla Eastwood che Rango indossa quando ritorna nel villaggio per lo showdown!); ma un omaggio che si allarga al western tutto (le lancette dell'orologio del villaggio che segnano un mezzogiorno di fuoco). E quale può essere il simbolo del western se non Clint Eastwood in persona, che appare “cartoonizzato” in una sequenza allucinatoria nei panni dello Spirito del West?
Già si sarà capito: questo film è una festa di citazioni (e di metacinema; in una scena iniziale il protagonista appanna col suo fiato l'obiettivo della mdp). Citazioni filmiche, musicali e miste. Il volo di Rango sbalzato dall'auto è accompagnato dall'“Ave Maria” di Schubert; l'attacco dei banditi che volano sul dorso di pipistrelli, dalla wagneriana “Cavalcata delle Valchirie”, con ovvio riferimento ad “Apocalypse Now”; lo scontro nel canyon, che segue, suggerisce una citazione visuale del “canyon” della Morte Nera in “Guerre stellari”; ma subito dopo, quando Rango viene tirato su in aria da un lazo, si passa al “Bel Danubio blu”.
In effetti, “Rango” è quasi un musical. Le avventure del protagonista sono commentate in musica da un quartetto di mariachi messicani (uccellini, ma completi dei baffi regolamentari), grandi menagramo – annunciano sempre la morte del protagonista, ma per questo aspettate il logico e arguto scherzo finale. E non è puro musical la sequenza della (mancata) distribuzione dell'acqua, quando tutti gli abitanti del villaggio, come ipnotizzati, si dispongono su due file in una sorta di “ballet mécanique”? E' la sequenza più stupefacente di un film pieno di sequenze stupefacenti; e sfocia in un'audace parodia delle funzioni religiose viste in tanti western, con una grande manopola di rubinetto che sollevata in alto riproduce la croce cristiana, e tutti gli astanti che alzano al cielo la loro bottiglia vuota proprio come i fedeli alzano la Bibbia nei film.
Pur essendo un film di animazione, “Rango” rientra perfettamente nella visione del mondo e nello stile di messa in scena di Gore Verbinski (che sono sempre presenti nel suo cinema, e quindi una marca autoriale). Verbinski ha sempre mostrato un buon senso dello spazio e una capacità visionaria, che in “Rango” diventa una scommessa visuale quasi delirante. Come nella sua trilogia dei “Pirati dei Caraibi” ritroviamo qui la rivendicazione del potere della fantasia, dell'avventura e del sogno, lontani dalla mediocrità quotidiana (qui un terrario per rettili: buona metafora). E il dialogo sul mondo che una volta era “più grande”, nel terzo episodio di “Pirati”, viene replicato con segno rovesciato nel discorso del sindaco tentatore.
Così, non abbiamo visto solo un ottimo cartoon ma abbiamo aggiunto una tacca alla serie dei bei western contemporanei. Che sono pochi, ma buoni. A costo di reincarnarsi tra le lucertole del deserto, il western – come i suoi eroi – è duro a morire.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

scusamo, ma in originale è doppiato da Johnny Depp.
beatrice

Giorgio Plac ha detto...

Ohi ohi ohi hai ragione naturalmente - il bello è che pensavo a Johnny Depp (infatti qualcuno ha anche detto che si muove come J.D., cosa che francamente non ho visto) e ho scritto Brad Pitt, cioè ho confuso due nomi - è un caso di Alzhaimer stile Poetry!
Mille grazie dell'avvertimento
Giorgio