mercoledì 3 settembre 2008

Denti - Teeth

Mitchell Lichtenstein

C’era una volta la Troma - la mitica casa di produzione apertamente e orgogliosamente trash di Lloyd Kaufman, che Dio lo benedica. Oggi vivacchia, lavorando molto per il mercato video, ma ai suoi tempi d’oro sfornò tutta una serie di deliranti delizie popolate di nazisurfisti (“Surf Nazi Must Die!”), studenti dementi zombi atomici (“Class of Nuke ‘em High”), vecchiette idrofobe (“Rabid Grannies”), e non dimentichiamo Tromeo & Juliet, e tanto meno l’eroe Troma numero uno, Toxie, The Toxic Avenger. Ma il titolo forse più famoso del catalogo è “Killer Condom” - che la Troma non produsse, è un geniale film tedesco (“Kondom des Grauens”, 1996) di Martin Walz, ma distribuì col suo marchio sul mercato americano. Tratto da un fumetto dello spiritosissimo disegnatore gay Ralf König, e da lui sceneggiato insieme al regista, presenta il più peculiare dei mostri: un preservativo zannuto che fa strage di, ehm, peni maschili negli ambienti equivoci di New York, mentre il detective gay Mackaroni, che gli è sfuggito per un pelo rimettendoci un testicolo, gli dà la caccia.
“Il cervello! Il mio secondo organo preferito!”, grida Woody Allen ne “Il dormiglione”. Se riuscite a immaginare qual è il primo, potete comprendere quel particolarissimo “frisson” che percorre ogni spettatore di sesso maschile quando sullo schermo una chiostra di denti si chiude “lì”. Il mito della vagina dentata, ci dicono gli antropologi e ora popolarizza il film “Denti – Teeth”, appare in zone diversissime del mondo, rispondendo a un terrore oscuro di castrazione, ovvero alla paura della donna e del contatto sessuale con lei. In questo film satirico scritto e diretto da Mitchell Lichtenstein - che, sì, è il figlio di Roy - la giovane Dawn (Jess Weixler) è nata con la vagina dentata, nella più classica cittadina di provincia americana, a un passo da una centrale atomica inquadrata a più riprese come una presenza sempre più minacciosa. La cosa rilevante è che Dawn appartiene a un’organizzazione giovanile, “The Promise”, in difesa della castità, e fa l’oratrice in isterici raduni basati sul rifiuto del sesso prematrimoniale. Si può dire che il film (certo, non il primo a farlo) porta allo scoperto quei terrori e pulsioni oscure che il cinema horror cela sotto la metafora del mostro: l’equazione fra mostruosità e sessualità qui si manifesta esplicitamente, e la scoperta della propria natura da parte di Dawn - condita da una citazione del film “Lo scorpione nero” di Nathan Juran, da lei appena visto in tv - diventa un’evidente metafora delle paure sessuali adolescenziali, esprimendosi con le parole “C’è qualcosa di sbagliato dentro di me!” (a proposito di citazioni cinematografiche, molto buona quella da “The Gorgon” di Terence Fisher abilmente inserita in montaggio quando Dawn appare sulla soglia della camera dello stupido fratello).
L’elemento satirico, ben servito dalla convincente Jess Weixler, è ben delineato: Dawn incarna perfettamente il tipo della bellezza orribile americana, la “good girl” WASP da capo a piedi, suffragetta della purezza che fa la predica a tutti alla High School e sogna solo un marito e quattro figli (l’anti-Juno, direbbe Diablo Cody). Se non fosse nata col suo piccolo difetto fisico, al college avrebbe potuto iscriversi agli Omega, i nemici dei Delta di John Belushi in “Animal House”.
Il problema è che, nonostante il suo elemento satirico, il film comincia a mordere solo quando comincia a farlo la sua protagonista – cioè piuttosto tardi nello svolgimento. Non è solo per l’analogia della castrazione che citavo la Troma e “Killer Condom”. Apparentemente “Denti – Teeth” assomiglia molto a un film Troma, per quell’aria “sloppy” e rilassata; ma nonostante tutto gli mancano la follia anarchica e il divertimento sfacciato dei film Troma.
Migliora progredendo, quando le cose assumono per loro stessa natura un andamento precipitoso; e qui lo spettacolo di peni e dita troncati vale da solo il prezzo del biglietto; fino a sfociare in una gustosa conclusione muta, con Dawn e un vecchio porco (il caratterista, sublime, si chiama Doyle Carter) che non sa cosa lo aspetta. Persa fra una cultura sessuofoba e giovani deficienti sessuomani, col suo sorriso finale Dawn sembra dire: diamoci un taglio.

(Il Nuovo FVG)

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