domenica 20 aprile 2008

Far East Film 2008 - I film, I

Dirlo è un po' lustrarsi gli ottoni, per uno che fa parte dell'organizzazione del festival udinese, ma il Far East Film 2008 è un vero successo: sia come pubblico finora, sia come ospiti (Nakata Hideo a Udine!, e Johnnie To arriva in settimana), sia - quel ch'è più importante - come film. Naturalmente c'è sempre qualche film che il festival non è riuscito a ottenere, oppure che personalmente avrei voluto ci fosse e purtroppo non è entrato nella selezione - ma il lineup è comunque più che soddisfacente. Ecco intanto un (necessariamente) breve panorama di quelli presentati al festival da venerdì 18 a domenica 20 (trascuro, avendone già parlato nel servizio precedente, la retrospettiva del grande Shin Sang-ok, e rimando a un altro momento Miki Satoshi).
"L change the WorLd" (Giappone) di Nakata Hideo (così il titolo ufficiale, dove la grafica la vince sul senso). Controverso come pareri (Derek Elley l'ha stroncato su "Variety"), a me sembra il migliore della trilogia di "Death Note" (però i rapporti con i primi due film e il mondo degli shinigami sono esili), se non altro a livello narrativo: basta vedere l'inizio, pressoché geniale nel suo gioco sullo sguardo, sulla nostra presupposizione di una presenza umana e la scoperta che lo sguardo è quello di una telecamera. Ma vale per tutto il film, che è attraversato da una selvaggia energia, a volte sul filo dell'autoparodia (la conclusione sull'aereo -per non dire di questa banda di cattivi stile manga). Piacevole e umanamente credibile la ridefinizione del personaggio (nei film precedenti un po' unidimensionale) di L.
"Quickie Express" (Indonesia) di Dimas Djayadiningrat. Non male, da un paese musulmano, una commedia su un servizio di gigolo travestito da pizza delivery. E' un film divertente, allegramente divagante, ben recitato - e la gemma è l'inaspettata performance di un attore di contorno (Rudi Wowor) che nel ruolo del vecchio gangster fa una superba parodia di Robert De Niro. Un finale cinicamente comico di disperazione collettiva evita quel "recupero" ottimista che ci aspetteremmo da una commedia.
"Pk.com.cn" (Cina) di Xiao Jang. Meglio perderlo che trovarlo.
"Casket for Rent" (Filippine) di Neal Tan. Dramma di vite interlineate in uno slum filippino che più miserabile non si può, dove il personaggio principale affitta bare per la veglia funebre dei morti di famiglie così povere che non possono comprarsene una. Più che di realismo, si tratta qui di naturalismo spinto all'estremo, al quale non è estranea una componente eccessivamente conscia (il particolare del barbone ultralurido che filosofeggia in mezzo alle pantegane è insopportabile). Ma c'è una convinzione, un'onestà di fondo, e alcune interpretazioni sono sorprendentemente buone.
"The Happy Life" (Corea) di Lee Jun-ik. Tre quarantenni in crisi decidono di riformare la rock band in cui suonavano vent'anni prima assieme a un amico morto di recente. Un film agrodolce, molto umano, serio, ben raccontato, anche grazie a un trio di attori monumentali (da citare in particolare Kim Sang-ho, un caratterista che abbiamo visto in una quantità di film coreani, nel ruolo del batterista Hyuk-soo). Il film è uno dei pochi a trattare l'argomento del quarantenne che rifiuta di crescere in modo non deprecatorio, ma altresì senza simpatie esteriori e retoriche. Davvero gli si deve riconoscere uno sguardo fresco e sicuro.
"Always - Sunset on Third Street - 2" (Giappone) di Yamazaki Takashi. Seguito dell'"Always" visto due anni fa, su un quartiere popolare nella Tokyo del 1959, pregevolmente ricostruita in computer graphics (sono tratti da un manga di Saigan Ryohei), ne mantiene la struttura a storie interlineate, annodando i fili lasciati sciolti nel primo episodio (la storia d'amore del romanziere Chagawa). E' un'incantevole evocazione di un universo variegato, che ruota attorno alla dialettica fra il divenire (simboleggiato dalla modernizzazione di Tokyo) e la permanenza dei sentimenti. Come nel film precedente, Yamazaki riesce a mantenere le caratteristiche del manga non attraverso deformazioni in CG bensì giocando sulla mimica degli interpreti. Questo giovane regista ha una vera capacità di direzione degli attori, e in particolare i bambini. Impagabile l'omaggio a Godzilla che apre il film!
"Trivial Matters" (Hong Kong) di Pang Ho-cheung. Intrigante la collocazione di questo film e del precedente nella stessa serata: perché "Always 2" è il trionfo della drammaturgia, è la "pièce bien faite" dove tutto ritorna e i meccanismi funzionano come un orologio, mentre il bellissimo "Trivial Matters" - collezione di 7episodi - si muove nella dimensione precedente alla drammaturgia, quella dell'immediatezza vitale. Anche per questo, forse i suoi episodi migliori sono quelli in cui si ride di meno; l'episodio dei pompini festivi è certamente esilarante, ma è superato dall'eccezionale "Recharge" sulla prostituzione (l'assoluto dei gesti, delle parole, delle azioni, al di fuori e prima di qualsiasi costruzione drammatica) o da quello altrettanto sconvolgente delle due compagne di scuola Gillian Chung e Stephy Tang. Ma vorrei menzionare il brevissimo, fulminante, semplice come una fucilata, "Civismo", con Edison Chen, degno del Jarmusch migliore.
"Secret" (Taiwan) di Jay Chou. Film fantastico-sentimentale estremamente ovvio, modesto e prevedibile. Non lo salva qualche scena ben realizzata come la sfida al pianoforte. L'impostazione di viaggio nel tempo, in sé non nuova, qui è piuttosto arzigogolata. Peccato per una bella interpretazione di contorno di Anthony Wong.
"Mr. Cinema" (Hong Kong) di Samson Chiu. Lupus in fabula, ecco di nuovo il grande Anthony Wong, qui protagonista. E' uno dei film usciti a HK per il decennale dell'handover, il passaggio alla Cina (e approfitto qui per raccomandarne uno bello e sottovalutato, "Wonder Women" di Barbara Wong). Si tratta di un film commovente, caldo, intelligente, sulla vita di un proiezionista (politicamente filocinese) e al contempo della città di Hong Kong. L'omaggio a HK, alla sua gente sempre capace di cavarsela e tirare avanti, attraversa in filigrana il film esplodendo liricamente in una sequenza composta di una serie di foto prese per le strade della città. Anthony Wong è eccezionale, si tratta di una delle sue interpretazioni migliori, ma al suo stesso livello si pone Teresa Mo nella parte della moglie. Da menzionare anche Karen Mok e Ronald Cheng. Per inciso: siccome si parla di un proiezionista, qualcuno ha tirato in ballo "Nuovo Cinema Paradiso", che non c'entra nulla.
"The Assembly" (Cina) di Feng Xiaogang. Con la notevole eccezione del bellissimo "A World Without Thieves", Feng Xiaogang è veramente il Bondarciuk cinese. E' interessante vedere questo kolossal bellico (dalla buona fotografia) - nondimeno, il film è piuttosto brutto: un film di guerra pre-spielberghiano, pieno di retorica vecchio stile del genere, con uno dei commenti musicali più insopportabili e pomposi della storia dei war movies.
"Going by the Book" (Corea) di Ra Hee-chan. Più che il regista debuttante, il nome noto è quello di Jang Jin, autore della sceneggiatura, e in effetti il suo stile si vede benissimo in questa storia grottesca di un poliziotto inflessibile che deve fare il rapinatore in una simulazione di rapina che la polizia fa in una vera banca per ragioni di addestramento (ma in realtà pubblicitarie) - solo che prende l'incarico troppo sul serio, e li mette tutti nel sacco. E' un film piacevole, pieno di buone idee, anche se il motore narrativo in certi punti annaspa sensibilmente. Che il regista Ra non sia Jang Jin, si vede.

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