venerdì 18 gennaio 2008

Harry Potter e l'Ordine della Fenice

David Yates

“Harry Potter e l’Ordine della Fenice”, di David Yates, si apre con un volo della macchina da presa che plana sui campi dell’Inghilterra in ripresa aerea. Subito dopo, Harry e suo cugino Dudley, inseguiti dai Dissennatori, fuggono per un viottolo e per una galleria, di malinconico realismo periferico. Di lì a poco, Harry e suoi compagni sfrecciano sulle loro scope volanti - a Londra, sopra il Tamigi e davanti al Parlamento.
Naturalmente, nei geniali e spiritosi romanzi di J.K. Rowling la magia ha sempre prosperato nascosta nel mondo dei Babbani; però è col ritorno fisico di Voldemort che la guerra fra lui e Harry Potter si estende a tutto il mondo, e il presente film bene restituisce questo “allargamento” ideale dell’universo potteriano da Hogwarts (che è sempre il castello freddo e formidabile, adatto a rispecchiare la cupezza degli avvenimenti, del solenne “Harry Potter e il Calice di Fuoco” di Mike Newell). A differenza dei romanzi/film precedenti, Harry scopre che esistono due tipi distinti di nemici: i malvagi e i mediocri; da un lato Voldemort e i Mangiamorte, dall’altro il ministro Caramell e Dolores Umbridge, la cui meschinità e stupidità li rende quasi più odiosi dei primi.
E’ una progressione al nero quella che via via si realizza nei romanzi della saga e nelle loro fedeli riduzioni cinematografiche. A livello di plot, con il precipitare della situazione (basta ricordare che nel sesto romanzo viene ucciso Silente); a livello psicologico, e metaforico, con il doloroso processo di crescita di Harry. J.K. Rowling trascrive sul piano dell’invenzione fantastica il sentimento di rabbia, di isolamento e nel contempo d’incertezza su se stesso, che vive un adolescente. Harry è spesso sospettato e isolato, e dubita sovente di sé, oscuramente legato com’è al suo nemico Voldemort (che anzi da giovane, come ci mostra il romanzo “Harry Potter e il Principe Mezzosangue”, realizza un “doppio” miserabile e maligno di Harry). Il film di Yates per rendere quest’aspetto ha l’audacia, inedita nella serie cinematografica, di dipartirsi leggermente dal romanzo: dopo lo scontro al Ministero della Magia Harry per un attimo viene letteralmente posseduto dallo spirito di Voldemort, come in un horror asiatico.
Questa efficace soluzione è indice delle capacità di sceneggiatore di Michael Goldenberg (già autore di “Peter Pan”). Come per il film precedente, “Harry Potter e il Calice di Fuoco”, il problema era di portare sullo schermo un romanzo molto lungo e intricato. Lo sceneggiatore tradizionale della serie, Steve Kloves, aveva tradito qualche impaccio in tal compito, come testimonia la sua sceneggiatura un po’ stanca del “Calice”; Goldenberg mostra un’eccellente capacità creativa nella difficile trasformazione dal letterario al cinematografico. Taglia con intelligenza (vedi la fusione dei personaggi della traditrice Marietta e di Cho Chang), inserendo peraltro alcune menzioni “toccata e fuga” a mo’ di risarcimento dei lettori (esempio, Phineas Nigellus); sa altresì quando conviene rimpolpare ai fini della narrazione visuale: inventa per esempio la scena dell’evasione da Azkaban.
Il film mantiene la consueta eccellenza di messa in scena della serie come effetti e scenografia, e la regia di Yates ha delle buone soluzioni (vedi l’inquadratura a piombo del tribunale durante l’arringa di Silente) che ne arricchiscono il “flavour” visuale. Aggiungiamo il solito gruppo di interpreti in stato di grazia (eccelle come sempre Alan Rickman/Piton), ed ottime “new entries” per Bellatrix (Helena Bonham Carter), Tonks e Luna Lovegood - e soprattutto la Umbridge assolutamente perfetta disegnata da Imelda Staunton. Rimane solo un problema, e questo purtroppo è irrisolvibile: il gap fra l’età dei personaggi e l’età degli attori ormai è diventato un baratro. Alla prima apparizione (poi uno si abitua), questi diciotto-ventenni che fanno la parte di quindicenni ti provocano un piccolo soprassalto doloroso. Ma è un prezzo accettabile da pagare.

(Il Nuovo FVG)

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