sabato 18 marzo 2017

Kong - Skull Island

Jordan Vogt-Roberts

Poiché il simpatico Kong – Skull Island di Jordan Vogt-Roberts è prodotto dalla Legendary Pictures – la stessa compagnia che ci aveva dato l'ultimo Godzilla di Gareth Edwardse considerando che sono già pianificati i sequel si può individuare una linea generale, in linea con la correttezza politica ed ecologica hollywoodiana: il mostro titolare è arruolato senza esitazione nelle file dei buoni. Di conseguenza si batte contro altri mostri e funziona da protettore del mondo (bisogna ricordare che questa “evoluzione” era già accaduta ai mostri dei kaiju eiga giapponesi, e proprio Godzilla in testa, anche se per motivi leggermente diversi). Quanto agli umani, di conseguenza, o sono grati o sono stupidi.
In Kong – Skull Island, infatti, il King Kong più grande della storia del cinema sembra il nemico (la classica battaglia contro le “piccole cose volanti”, aerei o elicotteri, che nella tradizione konghiana segnava il gran finale qui avviene al primo incontro) ma in realtà è un difensore dell'isola – per sineddoche, della Terra – contro i veri mostri cattivi, che salgono dalle profondità sotterranee. A proposito, la presente recensione contiene spoiler più grossi di Kong, quindi conviene leggerla dopo visto il film.
Sorge però un problema che non si era posto con il dinosauro Godzilla. Siccome Kong è il buono, non può neanche concupire l'erede di Fay Wray, la fotografa interpretata da Brie Larson. Anche per questo, qui le dimensioni della Bella e della Bestia sono tanto distanti da annullare la metafora sessuale presente nel mito originario. Quindi il tema della fascinazione si limita a un ripetuto scambio di sguardi.
Una digressione. Val la pena di notare un tratto molto interessante del film: vi si ripetono solo due scambi di sguardi diretti, da occhi a occhi: quello dell'amore (Kong e la bella fotografa) e quello della guerra (Kong e il suo nemico, il colonnello interpretato da Samuel L. Jackson). Ha senso, questo, perché lo sguardo dell'amore e quello dell'odio implicano allo stesso modo un riconoscimento. Sulla loro analogia ci sarebbe molto da scrivere.
Ah, ma il grumo mitico della storia di King Kong non è quello delle dimensioni gigantesche, e non è neppure l'immagine – pur fondante – dello scimmione fra i grattacieli (che qui manca): è proprio il concetto dello scimmione che rapisce la bella, in più col dettaglio sadico-feticista della donna come una bambola nelle sue mani: la famosa scena censurata dello “spogliarello” di Fay Wray. Il che ci colpisce nel profondo perché, dietro l'innaturalità delle dimensioni, chiama in causa il terrore dello stupro e della miscegenation, l'accoppiamento innaturale e proibito. Il poeta Ovidio ne sarebbe rimasto affascinato.
Abbiamo quindi un remake di King Kong che sul piano dell'inconscio è ancora più revisionista di quanto appaia. Il film ne risulta certamente indebolito come spinta mitopoietica, e questo è un fatto. Peraltro, essendo un onesto lavoro artigianale, non mena il can per l'aia in proposito. Si svolge interamente sull'isola, in coerenza col suo titolo, e rinuncia al classico itinerario di scoperta e rivelazione, reso inutile dalla conoscenza collettiva del concetto base. Così, la manona di Kong compare già all'inizio del film, in un vivace prologo che vede coinvolti un pilota americano e uno giapponese ai tempi della seconda guerra mondiale.
Il tempo del racconto vero e proprio è il 1973; la guerra del Vietnam è appena finita, gli americani si ritirano, e un gruppo di soldati (piuttosto sfortunati, vien da aggiungere) invece di tornare a casa viene mandato in un'ultima missione ad accompagnare uno scienziato (John Goodman) nella misteriosa Skull Island. L'uso del napalm per attentare alla vita di Kong è un ovvio riferimento ai tempi.
Su questa collocazione temporale si innesta l'invenzione più raffinata del film: il richiamo visivo ad Apolcalypse Now, che cita a piene mani (certe inquadrature del sole rosso nel cielo nella fotografia di Larry Fong, la descrizione visuale della tribù dipinta dei nativi, ed anche la barca armata con cui i superstiti navigano sul fiume). E' in omaggio all'origine di Apolcalypse Now, Cuore di tenebra, che troviamo nel gruppo i cognomi Conrad e Marlow.
Su un piano più leggero, giacché un personaggio è rimasto prigioniero sull'isola per vent'anni (il pilota americano, John C. Reilly) il film arpeggia in modo divertente sullo shock culturale quando incontra gli americani del 1973 (sulla musica rock: che roba è?). Ma non bisogna prendere Kong – Skull Island per più di quello che è: un piacevole action movie, basato su una realizzazione in CGI davvero buona. I mostri che popolano l'isola sono molto riusciti: il ragno gigantesco fa una comparsa realmente inquietante, e i cattivissimi lucertoloni provvedono un nemico adeguatamente inumano e repellente. Diverte a tal proposito notare che i realizzatori del film hanno semplicemente spostato, e non eliminato, la barriera buono/cattivo tra le specie: se nel primo King Kong (e qui nella visione del colonnello) l'opposizione è umano vs. animale, nel presente film è mammiferi vs. rettili e invertebrati.
Nel volto di Kong la CGI crea un affascinante mix fra la struttura scimmiesca e dei tratti espressivi “umani” che lo rendono più vicino a noi. Va da sé che gli scontri fra Kong e i mostri di livello inferiore sono una meraviglia. Così, anche se l'ottica si è spostata, anche se il nucleo del mito se n'è andato, comunque il film è un gran divertimento, e rappresenta due ore ben impiegate. 
 

venerdì 17 marzo 2017

Affinità poetiche

Franca Olivo Fusco

...come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccia, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato”. Quando leggiamo queste parole alla fine dell'episodio della madre di Cecilia nei Promessi sposi, la commozione è accresciuta egualmente (perché sono due aspetti di uno stesso fenomeno) dall'alto picco retorico che conclude la pagina e dal riconoscimento di un motivo poetico che riverbera almeno fin da Virgilio nella cultura occidentale.
Franca Olivo Fusco è poetessa e autrice di vari interessanti libri sulla poesia, tutti imperniati sul tema del debito culturale e della citazione: Cinema & poesia, Va, pensiero, Nessun maggior dolore – Le fonti poetiche nei libretti d'opera e i due volumi di Arie d'opera al cinema. In questi testi il lettore può trovare una vera enciclopedia dei riferimenti – necessariamente incompleta, poiché ci vorrebbero i computer della NASA (nonché un bel po' di anni) per il progetto infinito di listare tutti i rimandi che si possono trovare in tutte le opere, ma affascinanti e stimolanti; talché uno dei maggiori piaceri nello sfogliare questi libri sta proprio nel gioco di reminiscenze e di possibili aggiunte che essi innestano. Si resta sempre stupefatti davanti all'acribia e alla vastità di conoscenze necessaria alla realizzazione di questi libri. L'autrice tiene da molti anni lezioni e conferenze sulla poesia italiana e straniera, nella sua città di Trieste, e in questa attività ha raccolto una quantità di conoscenze per cui possiede la rimarchevole dote di collegare e riconoscere l'ombra di un testo nelle sue innumerevoli trasformazioni e peripezie di pagina in pagina, di testo in testo.
Nel suo ultimo libro, Affinità poetiche (Questo verso l'ho già letto) (BastogiLibri, pp. 249, E. 18), Franca Olivo Fusco ricerca le citazioni e le suggestioni (“prestiti”) di altri poeti nell'opera poetica di una lunga serie di autori italiani, in ordine alfabetico da Federico Almansi ad Andrea Zanzotto.
E' una lettura impegnativa ma assai istruttiva. Comprende tanto quei debiti che fanno parte della formazione poetica (Campana da Petrarca, Cardarelli da Leopardi e Carducci, Saba da Leopardi) quanto affinità e prestiti più recenti e talvolta stupefacenti: per esempio, il famoso “male di vivere” di Montale compariva già in una poesia di Pirandello (“il mal triste di vivere”). Sfogliando questo libro si colgono davvero affascinanti incroci. Se non stupisce l'influsso di Montale su Maria Luisa Spaziani, è cosa interessantissima, per esempio, quando l'autrice coglie acutamente delle affinità tra Filippo De Pisis e Sandro Penna; e si potrebbe continuare molto a lungo.
A proposito di Filippo De Pisis, mi permetto di partecipare al gioco. L'autrice cita un intermezzo poetico del suo La città dalle cento meraviglie in cui (titolo) E' il libro che parla: “Compratemi, compratemi / Signori miei cortesi, / per poco a Voi mi do”, per commentare che “la poesia non ha mercato, è la Cenerentola della letteratura”. Si può peraltro aggiungere che qui De Pisis riprende ironicamente i versi di Dulcamara ne L'elisir d'amore, libretto di Felice Romani: “Comprate il mio specifico, / per poco ve lo do”.
Siccome questo libro finisce per essere una piccola antologia poetica, per il non specialista – come chi scrive – è pure ricco di inaspettate sorprese. Appassionato di cinema, colpevolmente ignoravo che fosse anche poetessa l'attrice Isa Miranda, famosa interprete di Ophüls, Chiarini, Soldati e via via fino alla Cavani. Ancor più vale per Michela Miti, che fu una delle bellissime della stagione (fra parentesi: tutta da rivalutare) della “commediaccia” italiana, quelle tra cui la più famosa resta Edwige Fenech (la Miti esordì in Pierino contro tutti). Colpisce ritrovarla qui come poetessa di buon livello, possibilmente stimolata – ipotizza Franca Olivo Fusco dal suo compagno Alberto Bevilacqua. Ma in fondo perché stupirsi? Come dice un titolo di Biagio Marin (anche lui presente in queste pagine): la poesia è un dono.