martedì 15 marzo 2016

Ave, Cesare!

Joel & Ethan Coen

Forse è la tragedia intinta di sarcasmo più che la commedia a darci i migliori film dei fratelli Coen? Non voglio dire che la bellissima commedia Ave, Cesare! giochi nella stessa lega di capolavori quali Fargo, L'uomo che non c'era, Non è un paese per vecchi, A Serious Man, A proposito di Davis eccetera - ma è genio puro, e divertimento infinito.
Un accenno alla trama, e un avvertimento: la presente recensione è piena di spoiler, onde va letta dopo visto il film. Siamo nel 1951. Eddie Mannix (Josh Brolin) è un produttore hollywoodiano, realmente esistito; ed è l'aggiustatutto ufficiale, è il Mr. Wolf “Risolvo i problemi” della Capitol Pictures. Si sta girando l'epica biblica Ave, Cesare! (il richiamo a Ben-Hur è dichiarato nel sottotitolo del film-nel-film, A Tale of the Christ, come nel romanzo di Lew Wallace). Ma il protagonista Baird Whitlock (George Clooney) viene narcotizzato e rapito da un gruppo di sceneggiatori comunisti (ovvio il riferimento parodistico all'epoca del maccartismo), il cui guru è un dottor Marcuse dell'università! Di qui un'avventura scatenata, inzeppata di riferimenti al cinema hollywoodiano classico, amabilmente parodiato: on ne se moque bien que de ce qu'on aime. Ecco il musical acquatico alla Esther Williams (con la differenza che Esther Williams non avrebbe potuto esibire tette strepitose come Scarlet Johansson nel ruolo); il western alla Gene Autry (l'attore cowboy Hodie Doyle/Allen Ehrenreich è un buzzurro ma il suo buon senso lo trasformerà in deus ex machina); il balletto acrobatico alla Gene Kelly (con un accenno, nel balletto che vediamo, all'omosessualità: basta caricare un filo e quello che allora era nascosto diventa quasi esplicito). Nota che, come accade sempre in questi passaggi metacinematografici, le scene di lavorazione le vediamo già montate e musicate. Gustosissimi gli esempi di “cattiva recitazione d'epoca” che i fratelli Coen ci mettono dentro. Le due terribili croniste mondane, le gemelle Tucker (Tilda Swinton), che si odiano, rimandano direttamente ad avvoltoi hollywoodiani come Hedda Hopper e Louella Parsons. Una giovane attrice si chiama addirittura Carlotta Valdes, nome sacro a noi hitchcockiani. E quando il giovane Hodie imprevedibilmente si toglie la dentiera, sarà un riferimento obliquo a Clark Gable?
Fra l'Ave, Cesare! dei Coen e l'Ave, Cesare! che vediamo come film-nel-film si crea un gioco di rispecchiamenti pieno di grazia e d'intelligenza. Completo di ambiguità in una scena, quando uno schiavo/una comparsa versa una polverina nella coppa del centurione/della star: inquadratura dei volti inquieti di lui e del suo complice: quale è dei due plot? Certo, la presenza della bustina ci dà una traccia, sarebbe un anacronismo; ma quanti anacronismi costellavano i film di antichi romani?
Per non confonderci, dunque, d'ora in poi mi riferirò al film dei Coen come Ave 1 e al film-nel-film come Ave 2. Tutto si raddoppia. La voce narrante di Ave 1 è solenne, impostata, “d'epoca” (nell'originale è di Michael Gambon); e le scene ironicamente “thriller” sono vagamente hitchcockiane: vedi la villa sul mare e il pedinamento in auto (un Hitchcock senza fondali).
Il raddoppiamento investe la struttura stessa del plot. Attraverso il corpo fisico di George Clooney, la realtà alta di Ave 2 (“alta” come poteva intenderlo la Hollywood del 1951) si raddoppia nella realtà bassa di Ave 1. Mi spiego: alla conversione del centurione Autoloco/Clooney dopo l'incontro con Cristo in Ave 2 fa riscontro la conversione ingenua e pappagallesca della star Clooney al comunismo in Ave 1, dichiarata alla fine davanti al produttore Mannix – che lo prende a sberle.
E però, dopo questo rappel à l'ordre a suon di schiaffoni, Clooney recita davanti alla mdp il monologo finale di Ave 2 – e vediamo la troupe sorprendersi e commuoversi davanti alla sua convinta intensità, quando parla dell'uguaglianza e dei diritti della piccola gente… una scena che avrebbe potuto girare Frank Capra; il cinema sarcastico dei fratelli Coen non disdegna di aprirsi in squarci di sentimento, ma la loro ironia non perdona a nessuno, e sul più bello del suo discorso a Clooney scappa la parola e si ferma imprecando: “...'fede', porca puttana!”
Di fede si parla molto in Ave 1 e in Ave 2, e di Dio (compreso quel Dio liofilizzato del Novecento che fu il comunismo); solo che Dio non si vede, ed è inutile ricordare che questo è un altro dei grandi temi del cinema dei Coen. Assolutamente sublime il cartello che appare durante la proiezione della prima bozza di trailer di Ave 2: “Divine presence to be shot”. Mannix all'inizio di Ave 1 raduna attorno a un tavolo un sacerdote cattolico, un pastore protestante, un pope ortodosso e un rabbino ebreo per metterli d'accordo preventivamente sulla rappresentazione di Dio in Ave 2. E' una scena esilarante, con battute degne del Woody Allen dei tempi migliori (il rabbino ai cristiani: “Dio ha un figlio, certo. E anche un cane? Un collie magari?”). Ma quel che qui importa è che i quattro non si mettono d'accordo, mandando il povero Mannix fuori di testa con le loro finezze teologiche. Ebbene, nella villa dove si radunano gli sceneggiatori comunisti assistiamo a una discussione sul materialismo storico che ricorda nettamente la precedente, sotto gli occhi di uno smarrito Clooney. Il sogno di un'utopia di uguaglianza versus le ragnatele nebbiose della teologia.
Non è che il gioco di rimandi si limiti alla coppia Ave 1/Ave 2. Nella grande scena dell'apparizione del sottomarino sovietico che emerge dalle acque californiane per prendere a bordo il capo dei comunisti, non solo quest'apparizione richiama il numero acquatico stile Esther Williams che abbiamo visto prima, ma il capo passa dalla barca sul sottomarino con un gran balzo “eroico” come in un film hollywoodiano particolarmente enfatico – solo, con un rovesciamento di orientamento morale. Si può aggiungere che l'avvicinamento del capo comunista al punto del rendez-vous coi russi - su una barca con gli sceneggiatori ai remi, lui dritto a prua in atteggiamento solenne (col cagnolino in braccio) - è un esilarante riferimento al famoso quadro Washington attraversa il fiume Delaware di Emanuel Leutze (1851), un classico dell'iconografia patriottica americana. E ancora: il comandante del sottomarino è Dolph Lundgren, vale a dire Ivan “Ti spiezzo in due” Drago (sono debitore della puntualizzazione all'amico Luca Giuliani).
Il tema è sempre quello dei fratelli Coen: l'assurdità ridicola dell'esistenza. Ma non dimentichiamo che nel loro cinema spunta talvolta la figura ebraica del giusto: l'uomo la cui bontà in qualche modo giustifica il mondo. E qui, paradossalmente, uno dei giusti coeniani appare nelle vesti di Mannix, questo produttore pronto a corrompere poliziotti e ricattare orrende giornaliste, che va di continuo a confessarsi per sciocchezzuole. Perché a un certo punto un dirigente della Lockheed gli offre un lucroso contratto se passerà con loro (“un'azienda, non un circo”), e per convincerlo gli mostra una foto del fungo atomico degli esperimenti di Bikini, dove c'entrava anche la Lockheed. “E' il mondo reale” (battuta drammatizzata da un suono di timpani); al che Mannix mormora: “Armageddon”. E alla fine Mannix decide di respingere l'offerta e restare a Hollywood, come nel finale de I dimenticati di Preston Sturges. L'ultima parola del film è “luce”.