lunedì 7 gennaio 2008

I fiumi di porpora 2

Olivier Dahan

“Che cos’è questo delirio?”, sentiamo a un certo punto del bel thriller francese “I fiumi di porpora 2 - Gli angeli dell’Apocalisse” di Olivier Dahan; e rende bene la natura del film. Delirio è la parola chiave. Non solo la sceneggiatura - di Luc Besson - contiene tratti di illogicità effettivamente deliranti; di più, solo un paio d’ore dopo la visione del film (questo, almeno, per l’ingenuo autore di queste righe) ci rendiamo conto che non saremmo capaci di desumere una “fabula” precisa da quanto abbiamo visto con godimento sullo schermo. Perché la misteriosa setta medieval-nazista che si serve di monaci-ninja, incappucciati e invincibili, uccide gli “apostoli”? Soprattutto, a che cosa serve alla setta l’antichissimo libro sottratto al tesoro di Lotario II? Mentirei se dicessi di averlo capito bene.
E questa può sembrare una critica, ma non lo è: perché “I fiumi di porpora 2” è puro piacere visivo e cinetico; e il libro antico è, come direbbe Hitchcock, un puro Mac Guffin, l’oggetto della ricerca che serve solo a sostenere l’azione. Ove ritorna dal primo film - che con questo non ha praticamente alcun legame - il poliziotto Jean Reno, gli viene affiancato il giovane Benoît Magimel, e nella parte del cattivo troviamo un sempre eccellente Christopher Lee (nel primo confronto a muso duro con Jean Reno lampeggia un sorriso malvagio veramente da Dracula).
Il film di Dahan è una folle combinazione di elementi ossessivi ritornanti (narrativi e visuali): la linea Maginot, il medioevo, l’Apocalisse di San Giovanni, i tedeschi (evocati di continuo anche prima che lo giustifichi il racconto), Gesù e gli apostoli. E naturalmente il crocifisso, con connotazioni - più che religiose - horror-pop. In posizione di crocefisso muoiono le vittime, a crocefisso si butta all’indietro nel vuoto il monaco a conclusione dell’inseguimento, su un crocifisso ligneo scheletrico sotto la pioggia si apre il film, crocifissi vi compaiono continuamente.
Un riferimento nella cultura popolare francese per questo mix di pseudoscienza e di thriller travestito da horror è il feuilleton della Belle Époque, in particolare Gaston Leroux. Contestualmente, a livello cinematografico un riferimento potrebbe essere il Franju de “Les nuits rouges”. E bisognerebbe citare per l’atmosfera (non per l’azione) John Dickson Carr.
Olivier Dahan prima di darsi ai lungometraggi era un regista di videoclip e si vede. Il suo film è un delirio, ma un delirio di vivacità narrativa, dove fra l’altro c’è tutta la lezione di Hong Kong (bellissimi i ripetuti inseguimenti, molto montati ma lucidi, non illeggibili come sovente si fa oggi per moda). Vedi anche all’inizio la digressione con la drogata e lo spacciatore per introdurre Benoît Magimel; serve a dirci che il giovane poliziotto è in gamba e picchia duro, è una presentazione del personaggio, ma bizzarramente dilatata: un gusto del racconto e dell’atmosfera, percorso da lampeggianti scariche di adrenalina, in cui si riconosce lo sceneggiatore Luc Besson.
Ma in primo luogo il film è tutto barocco gusto visuale; da citare il grande lavoro scenografico, firmato da Olivier Raoux, che in un contesto come questo fa mezzo film. Qui conviene annotare che l’efficacia “atmosferica” de “I fiumi di porpora 2” non si deve solo al senso che il cinema francese ha sempre avuto per la descrizione degli ambienti. Questo film è un esempio di quel tipo di “fantastique” (“Vidocq”, “Il patto dei lupi”, “Belfagor”...), romantico-feuilletonesco appunto, con larga preminenza al visuale, fino alla sensualità, molto scenografico, di forte impegno produttivo, che negli ultimi anni è diventato un vero sottogenere francese - come già il “polar” si era caratterizzato come un sottogenere autoctono del film noir. I francesi invece di piangersi addosso per la crisi sanno usare la tecnologia roboante, iper-espressiva e quasi isterica che caratterizza il cinema americano (e asiatico) contemporaneo per fare del buon cinema nazionale. E’ il caso di dirlo: Vive la France!

(Il Nuovo FVG)

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